Lungi dal voler fare un’analisi esaustiva e accurata dell’evento, che spetta alle agenzie preposte, riteniamo sia necessario fare chiarezza sui temi, più che sugli avvenimenti, per poter provare a fornire alcuni punti fermi basati su dati effettivi e scientifici.
Per farlo affronteremo questioni come il cambiamento climatico, il consumo di suolo, l’impermeabilizzazione del territorio, canalizzazioni, opere, manutenzione, vegetazione in alveo, competenze di Consorzi di bonifica e Regione.
CAMBIAMENTO CLIMATICO
Le aree alluvionate, un’area estesa della Toscana tra le province di Pistoia, Prato e Firenze, erano in crisi per la siccità e in 4 ore sono piovuti oltre 150 mm di pioggia.
Secondo vari esperti metereologi questo evento meteorico è da ricondurre direttamente al surplus energetico accumulato dal mare da mesi di caldo fuori stagione. Le piogge scese in così poco tempo nella zona alluvionata avrebbero messo in difficoltà qualsiasi territorio, ma attribuire tutte le colpe al “clima che cambia” è riduttivo e comunque, se anche così fosse, sarebbe arrivato il momento di prendere provvedimenti e di rivedere la fisionomia del territorio antropizzato. Anche perché, sulla base di dati estratti dallo European Severe Weather Database (https://eswd.eu/), gli eventi estremi di grandine e piogge in Italia hanno subìto una eccezionale impennata dal 1995 ad oggi: è ormai chiaro che il clima sta cambiando sempre più rapidamente e che gli eventi estremi stanno diventando la nuova normalità.
CONSUMO DI SUOLO e IMPERMEABILIZZAZIONE DEL TERRITORIO
Il territorio del comune di Campi Bisenzio, quello che ha subito gli effetti più pesanti, ha una percentuale di suolo consumato del 32,39%. Le province di Firenze, Prato, Pistoia, la locomotiva produttiva della regione, presentano un consumo di suolo del 7,34%, 14,28% e 10,24% (ISPRA 2023), sopra la media regionale del 6,17% e di quella nazionale del 7,14%. Ma bisogna ricordarsi come queste province abbiano ampie porzioni montane e che la stragrande maggioranza del consumo di suolo si estenda a quasi saturare le pianure alluvionali.
Al di là dei numeri, basta guardare le immagini satellitari estratte dal geoportale della Regione Toscana per avere un’idea di quanto accaduto negli ultimi 60 anni in questo territorio, come in molte altre parti d’Italia.
Ma questo cosa significa? E perché il consumo di suolo è così significativo per gli eventi alluvionali?
Consumo di suolo significa nuove edificazioni e cementificazione, ovvero forte impermeabilizzazione e dunque acque che non si infiltrano nel suolo e che rimangono in superficie andando ad aggiungersi a quelle dei fiumi già gonfi per le piogge.
Significa però anche beni esposti, ovvero passibili di essere danneggiati dalle acque esondate; si consideri che un quarto della superficie coperta da edifici in Toscana è in area a pericolosità idraulica media (23,8% contro il 12% nazionale), il che significa, con i cambiamenti climatici in atto, che quegli edifici sono localizzati in aree esposte ad un sempre maggior pericolo di inondazione; significa che andranno prima o poi sott’acqua perché si è deciso di costruirle in aree sbagliate.
OPERE E CANALIZZAZIONI
La cosa fondamentale da comprendere è che qualsiasi opera idraulica, qualsiasi assetto intendiamo dare al reticolo idrografico (più o meno artificializzato, più o meno naturale) è intrinsecamente e inevitabilmente fallibile. Dire che il sistema di argini lungo un fiume è dimensionato per contenere una piena duecentennale, ovvero con un tempo di ritorno di 200 anni, significa che se tutto va bene, c’è una probabilità di 1/200 che arrivi una piena maggiore che tracima dagli argini. Probabilità piccola ma non nulla, la “messa in sicurezza” non esiste, non si può evitare in assoluto che l’alluvione si verifichi.
Ogni anno, però, è un nuovo ciclo stagionale indipendente dal precedente, come un lancio di dadi è indipendente dall’altro. La probabilità che esca 6 in un lancio di dadi è 1/6, ma la probabilità di ottenere almeno un 6 in 10 lanci è molto più elevata, ed è pari all’84%. Così, se vivo in un’area alluvionale protetta da un argine dimensionato per contenere la piena duecentennale, la probabilità che ho di subire un’alluvione nell’arco di 30 anni è del 14%, bassa ma non irrisoria.
Nella realtà poi succede che con migliaia di chilometri di argini, alvei canalizzati, migliaia di opere idrauliche, opere per lo più realizzate in terra, la possibilità che qualcosa vada storto, che qualche muro (come successo a Campi Bisenzio) o qualche argine ceda anche per piene inferiori a quella di progetto non è così remota. Ne consegue che la probabilità di accadimento effettivo delle alluvioni, anche laddove le opere di protezione sono state progettate per l’evento duecentennale, è superiore al 1/200 teorici. A questo si aggiunge che con il cambiamento climatico, soprattutto nei bacini idrografici medio piccoli, maggiormente sollecitati da piogge molto intense e di limitata estensione, la frequenza delle piene più intense sta progressivamente aumentando.
Queste considerazioni portano alcuni a dire che quindi ci vogliono più opere, più assidue attività di manutenzione, è questa la strada risolutiva? In generale no, perché non sono poche le situazioni in cui tra costi di realizzazione, gestione e manutenzione nel tempo, si finirebbe per spendere cifre maggiori dei danni causati dall’evento dal quale ci si vuole proteggere. Danni (derivanti da un evento più o meno raro ma non evitabile) che sono fortemente influenzati da come ci insediamo nelle aree alluvionali.
Argini ed opere creano una falsa sicurezza, per cui si aumentano le edificazioni pensando di essere protetti e quando l’argine si rompe o viene tracimato dalle acque, il danno è immenso. Il Bisenzio, in particolare, ha raggiunto in poche ore i 6 metri di livello alla stazione idrometrica di San Piero a Ponti prima di esondare, con una portata di oltre 350 metri cubi al secondo (dato ANBI Toscana).
Eclatante a tal proposito quanto avvenuto nell’area industriale di Montale, sul Torrente Agna, a cui nulla sono serviti i continui rialzi arginali attuati nel tempo.
Fiumi e torrenti con sempre minor spazio a disposizione e con alvei pensili che di conseguenza vanno tenuti puliti da qualsiasi tipo di vegetazione per massimizzare la portata che riesce a defluire senza tracimare, ma anche per evitare che le radici delle piante creino canali preferenziali e fragilità degli argini stessi, e per avere una buona visibilità dello stato degli argini, utile per un’azione di sorveglianza (si pensi alla possibile presenza di tane di animali).
Dunque il problema in Toscana è stata la mancanza di manutenzione?
MANUTENZIONE DEL TERRITORIO
ANBI Toscana ha fatto sapere che
«Negli ultimi cinque anni, nel territorio che abbraccia la Piana Fiorentina, Prato e Pistoia sono stati investiti 85 milioni di euro per la messa in sicurezza del reticolo minore, fra manutenzioni ordinarie (finanziate con il contributo di bonifica) e straordinarie (con finanziamenti derivanti da altri enti di fiscalità generale)» ed anche che «Sul fronte della manutenzione, nel Comune e nella Provincia di Prato, ogni anno viene speso oltre 1 milione di euro per quella ordinaria, altri 6,5 milioni per quanto riguarda l’Unità funzionale Ombrone e la provincia di Pistoia e altri 7,5 milioni nella Piana Fiorentina. Parliamo di una delle zone della Toscana con maggior numero di opere, fra casse di espansione, impianti idrovori e paratoie. Proprio a seguito dell’alluvione del 1991 in questa zona è stato fatto uno sforzo enorme sulla sicurezza idraulica e durante l’ondata di maltempo tutte le opere sono entrate correttamente in funzione. Per anni, anche a fronte di eventi meteo impegnativi, gli impianti avevano evitato problemi. Stavolta purtroppo non è bastato: la mole di acqua era troppa per poter essere gestita».
No, il problema non è la manutenzione né la mancanza di opere… ma forse il problema sono proprio quelle opere, costruite per poter sfruttare il territorio senza tenere in considerazione che i corsi d’acqua sono ecosistemi viventi che respirano e che a volte possono fare dei respiri molto profondi. Ci si è approcciati ai fiumi in maniera “monobiettivo”, perseguendo la sola tutela idraulica e lo sviluppo socio economico senza considerare la complessità di un ecosistema che invece svolgeva importanti servizi per la comunità. Esondando in aree naturali, ricaricava la falda (molto utile nella gestione della siccità) e tratteneva le acque, rallentandole e diminuendo la portata verso valle; alvei ampi permettevano la presenza di vegetazione che tratteneva ancora di più le acque, aiutava la sua infiltrazione, sosteneva le sponde.
Non basta più fare opere e manutenerle: è necessaria una revisione dell’intero sistema, un cambio di passo, di mentalità, di approccio. Stop al consumo di suolo; avvio di delocalizzazioni; restituzione di spazi al fiume attraverso arretramenti arginali. È necessario che tutti inizino a parlare una nuova lingua: Regione, Consorzi di Bonifica, Comuni, cittadini; il cambiamento climatico è in atto ed i nostri territori, in Toscana come in Emilia Romagna come in tutte le altre regioni italiane, non sono pronti ad accoglierlo. Serve mettere in atto politiche di adattamento rivedendo il territorio in ottica multiobiettivo e con approccio multidisciplinare. Non ci si può più nascondere dietro i cambiamenti climatici; non si può ricostruire tutto come prima ed aspettare la prossima catastrofe: facciamoci trovare pronti, in Toscana come altrove.