Photo credits: Andrea Goltara e Bruno Boz
LA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE
La riqualificazione fluviale è un insieme integrato di azioni volte a portare un corso d’acqua, con il territorio ad esso più strettamente connesso, il corridoio fluviale, in condizioni più naturali, ripristinandone le caratteristiche geomorfologiche, fisico-chimiche e biologiche.
Un corso d’acqua più naturale non solo ha un maggiore valore ambientale, ma tipicamente fornisce molti servizi ecosistemici fondamentali, ad esempio riduce il rischio di alluvioni, garantisce acque di migliore qualità e una maggior ricarica delle falde, valore paesaggistico e opportunità di fruizione da parte dei cittadini.
La riqualificazione fluviale si basa non solo su interventi strutturali, ad esempio la rimozione o la modifica di infrastrutture lungo il corso d’acqua, ma anche gestionali o pianificatori, e per questo richiede l’applicazione di un approccio realmente integrato, in cui la partecipazione attiva delle parti sociali e istituzionali coinvolte gioca, inevitabilmente, un ruolo fondamentale.
Questi interventi richiedono spesso una programmazione a medio-lungo termine e finanziamenti adeguati, che non necessariamente devono provenire solo da fonti pubbliche. Hanno ad esempio un ruolo chiave anche quei privati che, intervenendo sulle proprie infrastrutture o adeguando le proprie modalità gestionali, in coerenza con la pianificazione a scala di bacino, possono contribuire significativamente al raggiungimento degli obiettivi di qualità. I portatori di interesse lungo il corridoio fluviale, tuttavia, spesso hanno obiettivi tra loro in conflitto. Per sviluppare un progetto di riqualificazione fluviale che massimizzi i benefici ambientali e sociali è necessario, quindi, cercare soluzioni concertate tramite un percorso di partecipazione e negoziazione. Tale percorso non può chiaramente prescindere da un’adeguata comprensione dei processi e delle funzioni naturali tipiche dello specifico corso d’acqua.
PROCESSI E FUNZIONI DEI CORSI D’ACQUA NATURALI
I corsi d’acqua naturali sono elementi dinamici del territorio che (quando le pressioni antropiche ancora lo consentono) evolvono continuamente dal punto di vista della conformazione morfologica, sotto l’azione delle portate liquide e solide che li percorrono e delle diverse condizioni al contorno. Proprio questa loro variabilità di forme, spaziale e temporale, genera e rinnova gli habitat fluviali: garantire tale dinamica e la connettività spaziale e temporale dei processi è quindi requisito essenziale affinché gli ecosistemi fluviali possano mantenere un elevato stato qualitativo e fornire importanti servizi ecosistemici.
Le comunità biologiche dei fiumi che scorrono nelle pianure alluvionali, e più in generale nelle porzioni di bacino dove non sono confinati dai versanti, sono fortemente influenzate dai periodici cambiamenti del livello idrico, che portano i corsi d’acqua ad allagare le aree circostanti e a mobilizzare nutrienti e materiale particolato tra piana alluvionale e alveo (flood-pulse concept): le piene, con i loro sedimenti, fertilizzano infatti le piane alluvionali e creano habitat favorevoli per la fauna acquatica e terrestre.
La disponibilità di aree di pertinenza fluviale e il periodico avanzamento e arretramento delle acque accrescono quindi la produttività dell’ecosistema e mantengono la biodiversità.
Ma garantire e ripristinare le aree inondabili e gli spazi di mobilità dei corsi d’acqua costituisce anche elemento cardine delle strategie integrate di gestione del rischio di alluvioni, per le quali “restituire spazio al fiume” è spesso il modo più efficace per tenere insieme le esigenze di tipo morfologico ed ecologico e la gestione del rischio.
Inoltre garantire il flusso dei sedimenti da monte a valle e le dinamiche di trasporto degli stessi nell’alveo permette sia di conservare gli ecosistemi fluviali, sia di evitare gli impatti di disequilibri morfologici nei confronti dei beni antropici (rischio da dinamica morfologica). Da una parte, infatti, molti degli habitat fluviali si formano proprio grazie all’erosione e al deposito continuo dei sedimenti, oltre che di legname, che vanno a creare gli habitat fisici (unità morfologiche), necessari alle diverse fasi vitali di specie animali e vegetali. Dall’altra, la possibilità di movimento indisturbato dei sedimenti da monte a valle (continuità longitudinale) e nelle aree perifluviali (continuità laterale), nonché la libertà degli alvei di spostarsi a livello planimetrico all’interno di una fascia di divagazione morfologica, costituiscono anche i prerequisiti per avere alvei in equilibrio dinamico.
L’alterazione della continuità longitudinale ha effetti avversi nei confronti delle comunità acquatiche in quanto interrompe la connessione monte valle tra gli ecosistemi: un corso d’acqua può essere considerato una successione di ecosistemi che sfumano gradualmente l’uno nell’altro, interconnessi con gli ecosistemi terrestri circostanti e in cui le comunità acquatiche e il metabolismo fluviale sono condizionati non solo dalle condizioni locali, ma anche dai processi che si verificano nei tratti a monte (river continuum concept). Le diverse comunità si sono cioè adattate a vivere con determinate caratteristiche di flusso idrico, geomorfologiche e di contesto tipiche di ciascun segmento fluviale, ma non sono indipendenti dai tratti fluviali precedenti o successivi: l’interruzione di continuità tra porzioni di fiume può determinare quindi effetti negativi in altri tratti a monte o a valle. La continuità longitudinale è inoltre fondamentale per quelle specie, in particolare ittiche, che hanno bisogno di spostarsi, da valle a monte o da monte a valle, per le necessità connesse alle diverse attività e fasi vitali.
La disponibilità di un adeguato spazio di mobilità laterale è poi fondamentale per garantire il mantenimento dei processi e delle forme tipiche di una data configurazione morfologica. In corsi d’acqua canalizzati, ad esempio, ovvero dove il rapporto tra ampiezza e profondità dell’alveo si riduce significativamente, l’alterazione della dinamica di trasporto solido può determinare la variazione nella tipologia di barre presenti o anche la loro totale scomparsa, con un cambiamento anche molto netto nella morfologia del tratto e quindi degli habitat associati.
I processi di modellamento geomorfologico interagiscono con la vegetazione che contribuisce a definire le forme fluviali ma allo stesso tempo è influenzata dai processi evolutivi morfologici. Le varie unità morfologiche presenti in un alveo e nella piana inondabile, infatti, sono caratterizzate da determinate frequenze di inondazione, che portano alla selezione di specifiche associazioni vegetazionali adatte alle locali condizioni idrauliche.
La presenza della vegetazione viva, così come dei grandi detriti legnosi, influisce a sua volta sui processi evolutivi locali, ad esempio producendo erosioni spondali o la creazione di buche in determinate aree e stabilizzandone altre o favorendo l’accumulo di sedimenti e quindi la formazione di barre.
L’impatto di tagli non selettivi della vegetazione va perciò ad incidere direttamente sull’evoluzione morfologica dei corsi d’acqua e conseguentemente sulla diversità ambientale dell’alveo, che può divenire più uniforme in assenza delle perturbazioni indotte dalla vegetazione.
La presenza della vegetazione garantisce inoltre in modo diretto la biodiversità degli ecotoni ripari e una serie di funzioni fondamentali, quale l’apporto trofico (foglie e rami) a supporto delle reti alimentari degli organismi acquatici, l’ombreggiamento e la traspirazione, con effetti sulla temperatura e sull’ossigenazione dell’acqua, l’azione di filtro nei confronti dei sedimenti (e degli inquinanti ad essi associati) veicolati dalle acque di dilavamento del suolo, nonché la capacità di rimozione dei nutrienti dalle acque di ruscellamento e di scorrimento ipodermico, o la naturale riduzione dell’erosione spondale della corrente.
RIPRISTINARE LA CONNETTIVITÀ FLUVIALE: UN ELEMENTO CHIAVE DELLA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE
Da quanto detto sui processi fluviali, risulta chiaro che il ripristino della connettività fluviale è un tema tipicamente trasversale al recupero di tutti gli elementi di qualità di un corso d’acqua. La grande quantità di opere realizzate per soddisfare gli usi antropici hanno frammentato il reticolo idrografico, hanno isolato i fiumi dal territorio limitrofo, e spesso anche dalle acque sotterranee. Riqualificare un fiume implica recuperare il più possibile le sue funzioni e i processi naturali, che dipendono fortemente dallo stato di connettività. Per raggiungere lo scopo deve essere ripristinata la connettività longitudinale (acqua e sedimenti devono essere liberi di scorrere da monte a valle e la fauna di spostarsi da monte a valle e viceversa), laterale (assicurando inondazioni periodiche della pianura alluvionale e la mobilità laterale degli alvei), verticale (mantenendo le interazioni tra deflusso superficiale e acque sotterranee) e temporale (garantendo la naturale evoluzione nel tempo delle dinamiche fluviali).
Approfondimenti:
Nel sito freeflowingrivers.eu, realizzato dal CIRF con Wetlands International Europe, puoi trovare approfondimenti e dati sulle diverse minacce alla connettività, sugli impatti ecologici e sugli scenari futuri, a livello europeo e internazionale.
Foto www.freeflowingrivers.eu
COME VALUTARE LO STATO DI SALUTE DI UN FIUME E COME MIGLIORARLO
Secondo la Direttiva Quadro sulle Acque (DQA) per poter dare una valutazione oggettiva dello stato ecologico di un fiume dobbiamo misurare e valutare lo scostamento rispetto alle condizioni di riferimento (ovvero quelle che lo specifico corso d’acqua avrebbe in assenza di alterazioni antropiche) di una serie di elementi fisico-chimici, biologici e idromorfologici.
Vi sono poi altre componenti non esplicitamente considerate (o solo parzialmente) dalla DQA che concorrono all’integrità ecologica di un corso d’acqua e possono essere oggetto di specifici interventi di riqualificazione, quali le condizioni termiche, delle aree umide o di altre comunità biotiche (uccelli, mammiferi, ecc.).
Una volta compreso lo stato del fiume e le cause di degrado dei diversi elementi di qualità (ovvero le pressioni antropiche che ne determinano l’alterazione) andrà definito un programma di azione volto ad invertire lo scadimento qualitativo e riportare il fiume in migliori condizioni ecologiche.
Vediamo di seguito, limitatamente ai diversi elementi previsti dalla DQA, alcuni esempi di come si può intervenire nell’ottica della riqualificazione fluviale:
- elementi fisico-chimici: cause del degrado e linee d’azione
- elementi idromorfologici: cause del degrado e linee d’azione
- elementi biologici: cause del degrado e linee d’azione
ELEMENTI DI QUALITÀ FISICO-CHIMICI
Cause di degrado
Lo scadimento della qualità delle acque dei nostri fiumi ha molteplici cause, in genere riconducibili a due “macro-categorie” di pressioni:
- le immissioni, localizzate o diffuse, di carichi inquinanti che modificano le condizioni fisiche (es. ossigenazione) o chimiche (concentrazioni di inquinanti) delle acque e dei sedimenti;
- le alterazioni idrologiche, che spesso incidono sul degrado qualitativo dell’acqua, amplificando gli effetti degli inquinanti immessi: lo stesso carico può avere infatti impatti molto più severi se immesso in un fiume con portate sensibilmente ridotte.
Linee d’azione
Oltre alle azioni tradizionalmente messe in campo per il miglioramento della qualità delle acque (riduzione dei carichi puntuali tramite collettamento di reflui urbani e industriali e depurazione con sistemi convenzionali e di quelli diffusi ad esempio tramite miglioramento delle pratiche agricole) si possono realizzare:
- interventi per il recupero della capacità autodepurativa dei corsi d’acqua: ripristinare fasce tampone nella zona riparia (ovvero una fascia di vegetazione tra l’alveo e i campi agricoli), garantisce la riduzione dei carichi di inquinanti, in particolare dei nutrienti di origine agricola; ma in generale alvei più diversificati morfologicamente e in connessione con il deflusso sotterraneo assicurano che i cicli biogeochimici che presiedono alla trasformazione delle sostanze inquinanti siano più efficaci. Anche il recupero o la ricostruzione di aree umide connesse al corso d’acqua può essere una soluzione che oltre ad aumentare la biodiversità nelle pianure alluvionali aumenta la capacità autodepurativa.
- Azioni di riduzione dell’alterazione idrologica possono poi, come detto, contribuire ad aumentare la diluizione naturale dei carichi inquinanti.
Approfondimenti:
guarda il video del CIRF sulla gestione della vegetazione nei corsi d’acqua naturali
ELEMENTI DI QUALITÀ IDROMORFOLOGICI
Cause di degrado
Le forme e i processi morfologici dei corsi d’acqua vengono fortemente alterati da un’ampia gamma di interventi infrastrutturali e gestionali:
- la realizzazione di opere che ostacolano fisicamente la dinamica fluviale (argini, difese spondali, briglie…);
- interventi di alterazione diretta (risagomature degli alvei, rettificazioni);
- interventi che alterano le principali variabili che regolano la dinamica morfologica, in particolare le portate idriche e la disponibilità e il flusso di sedimenti.
Diversi interventi appartengono in realtà a più categorie e determinano impatti di diversa natura, come negli esempi che seguono.
Costruzione di dighe e briglie: la presenza di uno sbarramento trasversale interrompe, più o meno a seconda della tipologia di opera, il trasporto solido, creando un deficit di sedimenti a valle, in particolare di quelli grossolani che contribuiscono maggiormente alla morfologia fluviale. Se lo sbarramento è associato a una derivazione che altera anche le portate di piena, inoltre, viene ridotta la capacità di trasporto dei sedimenti a valle, con effetti a catena sulle forme e sulla dinamica del corso d’acqua.
Difese spondali: impediscono al corso d’acqua di muoversi lateralmente, come sarebbe nella loro natura laddove non esistano confinamenti naturali, e riducono l’apporto di sedimenti dalle sponde. Sono spesso associate a restringimenti e canalizzazioni che impongono una morfologia diversa rispetto a quella che il fiume avrebbe naturalmente.
Estrazioni di sedimenti in alveo: realizzate in modo massiccio negli anni ‘50-‘60 ma più che mai attive in molti fiumi anche oggi sotto il nome di interventi per la riduzione del rischio idraulico, hanno effetti devastanti e spesso irreversibili sulle condizioni morfologiche dei corsi d’acqua.
Sono infatti responsabili di fenomeni (anche imponenti) di incisione degli alvei a valle, ma anche a monte (regressiva) dell’intervento, spesso associati a restringimenti e cambiamenti di configurazione morfologica; questo a catena porta con sé effetti a scala spaziale e temporale anche molto ampia, che vanno dall’abbassamento della falda, all’isolamento dell’alveo dalla pianura alluvionale, all’erosione costiera.
Linee d’azione
Le azioni volte al miglioramento della qualità idromorfologica sono sostanzialmente incentrate sulla riduzione dell’artificializzazione dei sistemi fluviali e sul recupero dei naturali processi idromorfologici (riattivare la dinamica laterale e il trasporto solido, ripristinare gli eventi di piena formativa…). Concretamente questo si traduce ad esempio in:
- ridare spazio ai fiumi attraverso la rimozione o l’arretramento di argini/difese che creano più danni che benefici,;
- recuperare la connettività longitudinale dei sedimenti rimuovendo briglie o dighe ove non indispensabili, oppure migliorando la gestione di invasi e briglie, anche reimmettendo sedimenti in alveo a valle;
- recuperare le forme fluviali modificando le modalità di manutenzione degli alvei, in particolare evitando risagomature e asportazione di sedimenti se non quando chiaramente giustificato da un aumento del rischio e richiesto da un programma di gestione dei sedimenti (per molti degli interventi effettuati tale giustificazione non sussiste)
- ripristinare la vegetazione riparia e garantire una più naturale alimentazione di legname in alveo, anche qui evitando tagli a raso diffusi se non solidamente giustificati;
- ripristinare un regime idrologico più naturale, in particolare garantendo adeguate piene formative (quelle che maggiormente influiscono sulla modellazione delle forme del fiume).
Negli interventi di riqualificazione idromorfologica è opportuno “lasciar fare al fiume” il più possibile, ripristinando le condizioni che consentono una più naturale dinamica morfologica, più che intervenire direttamente per “ricostruire” determinate forme in alveo. Tuttavia, in condizioni di bassa energia (corsi d’acqua a pendenza molto bassa), o particolarmente alterate (ad esempio dove le sorgenti di sedimenti a monte sono ampiamente sconnesse), o dove è necessario ottenere un risultato in temi più brevi, è possibile intervenire in modo più diretto e localizzato, pur considerando che sarà poi il corso d’acqua stesso a ridefinire nel tempo le sue forme.
ELEMENTI DI QUALITÀ BIOLOGICI
Cause di degrado
Vista la stretta dipendenza degli organismi acquatici dalla qualità dell’acqua, le cause di degrado considerate per questa componente influenzano, in maggiore o minore misura, anche la qualità biologica dei corsi d’acqua, pur non essendo sempre questo il principale fattore di pressione. Altrettanto si può dire dei fattori di pressione che determinano uno scadimento della qualità idromorfologica: l’alterazione delle forme in alveo e dei processi che le mantengono nel tempo, così come delle condizioni idrauliche connesse alle portate in alveo, alterano gli habitat, determinando la perdita di organismi adattati a quel tipo di habitat e spesso favorendo altre specie non autoctone. Molti interventi di sistemazione idraulica, poi, tendono ad omogeneizzare il fondo e le sponde per conferire sezioni più regolari possibili, con una perdita netta di tipologie di habitat e di conseguenza di biodiversità; non solo specie diverse rispetto a quelle attese in condizioni di riferimento quindi, ma anche meno specie e meno individui.
Da non sottovalutare inoltre gli effetti degli interventi antropici sui regini termici delle acque, che spesso inducono uno stravolgimento delle comunità biologiche anche in fiumi morfologicamente poco alterati.
Come detto, poi, un altro effetto indotto da molte opere idrauliche è quello di creare delle vere e proprie barriere fisiche che impediscono gli spostamenti degli organismi duranti fasi fondamentali del loro ciclo vitale; l’esempio più evidente è l’impossibilità di superare briglie o dighe da parte della fauna ittica in migrazione. Tuttavia anche le specie che non necessitano di migrare dal mare ai corsi d’acqua o viceversa necessitano di spostarsi per esigenze di alimentazione, riproduzione, rifugio. E per specie di piccole dimensioni anche piccoli ostacoli come una soglia possono essere insormontabili.
Rispetto a questi fattori di degrado è utile puntualizzare un aspetto piuttosto significativo e spesso sottovalutato: gli impatti legati all’artificializzazione sono in genere i più persistenti e impattanti sulle comunità biologiche.
Oltre ad essere condizionata pesantemente dalle stesse cause di degrado della qualità chimico-fisica e idromorfologica la qualità biologica dei corsi d’acqua viene impattata anche da pressioni dirette sulle comunità biologiche: disturbo per attività antropiche in fasi sensibili dei cicli vitali; prelievi ed immissioni di materiale ittico alloctono, accidentale o intenzionale immissione di specie alloctone invasive.
Linee d’azione
- interventi di ricostruzione di habitat laddove non si riescano a creare le condizioni per una loro naturale rigenerazione: introduzione di sedimenti e legname in alveo, diversificazione delle sponde, creazione diretta di buche e raschi, zone umide perifluviali;
- riconnessione di canali secondari o altri habitat critici dove questi non si ricreino naturalmente nel tempo,, ) ecc …
- interventi di reintroduzione di specie: rimboschimenti, ripopolamenti..
- interventi diretti per il contenimento di specie invasive che possono riguardare sia la vegetazione (tagli selettivi…), sia la fauna ittica (campagne di controllo/eradicazione mirate…).