Feb 7, 2024 | News CIRF

Approvato il PNACC: qualche passo avanti sulla gestione dei corsi d’acqua, ma ora servono azioni concrete

Il 21 dicembre 2023 il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Come riportato nell’introduzione del documento, l’Italia rientra nel cosiddetto “hot spot mediterraneo”, un’area che l’IPCC ha identificato come particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici. L’approvazione del Piano viene di conseguenza considerata un passaggio fondamentale per avviare la pianificazione e attuazione di azioni di adattamento, capaci di “anticipare gli effetti avversi dei cambiamenti climatici e adottare misure adeguate a prevenire o ridurre al minimo i danni che possono causare oppure sfruttare le opportunità che possono presentarsi”.

Nella fase di analisi, il PNACC sottolinea l’eterogeneità dei cambiamenti climatici nei diversi contesti nazionali e quindi degli effetti che possono determinare, evidenziando la necessità di una pianificazione che tenga conto delle specificità locali in termini sia di forzanti in gioco (ad esempio, pattern di precipitazione alterati) sia di risposta del territorio (caratteristiche fisiche, uso del suolo, presenza di infrastrutture).

Il Piano identifica 361 Misure, distinte tra misure soft (misure di policy, amministrative, finanziarie, in grado di modificare comportamenti e stili di vita), misure nature-based e misure infrastrutturali “grigie”.

Nonostante si metta in evidenza che i cambiamenti climatici aumenteranno la frequenza di eventi estremi e il conseguente rischio di alluvioni in diverse aree, le tipologie di azioni che si rivolgono direttamente al ripristino degli ecosistemi fluviali sono principalmente due:

  • l’azione 212 (Misure di adattamento attraverso interventi non invasivi sui corsi d’acqua, anche basati sui principi dell’ingegneria naturalistica e della pratica sostenibile di uso del suolo, finalizzati a prevenire e mitigare gli effetti degli eventi estremi riconducibili ai CC);
  • l’azione 267 (Riqualificazione dei corsi d’acqua in considerazione del mantenimento dei deflussi vitali e della qualità ecologica in situazioni di variazioni dei regimi termo-pluviometrici futuri).

Nella descrizione dell’azione 212 si dice che la mitigazione degli impatti di eventi estremi “può essere perseguita attraverso interventi di riqualificazione fluviale con opere mirate al miglioramento del regime idrico, alla riduzione dei picchi di piena, a rallentare il deflusso o a ridurre l’energia delle acque mediante restituzione di spazio al fiume tramite inondazione controllata di aree, gestione della vegetazione dell’alveo, eliminazione di elementi a rischio, ripristino della vegetazione, opere di ingegneria naturalistica”.

L’azione 267 si pone come obiettivo il “risanamento del sistema fluviale ripristinando uno stato naturale, capace di espletare le caratteristiche funzioni ecosistemiche (geomorfologiche, fisico-chimiche e biologiche) e dotato di maggior valore ambientale”. Entrambe le misure, quindi, oltre ad altre azioni indicate tra le “misure integrative” del piano, rilevano, quindi, come la realizzazione di infrastrutture destinate ad alterare il naturale regime idromorfologico dei corsi d’acqua non debba essere – come avvenuto finora – l’unica modalità d’intervento per la riduzione del rischio di alluvioni. Bisogna analizzare con attenzione le peculiarità climatiche e di uso del territorio delle singole aree per poter individuare le soluzioni più adatte e in grado di offrire benefici multipli. Tra queste, anche il MASE adesso contempla la possibilità di ripristinare la connettività fluviale e restituire spazio ai fiumi, come da sempre sostenuto dal CIRF. È un passo in avanti importante verso una politica di gestione del territorio più efficace e lungimirante. Ma non è chiaramente sufficiente. È necessario e più che mai urgente avviare una iniziativa incisiva e concreta di promozione e incentivazione all’utilizzo di queste soluzioni, superando le molte incertezze amministrative e le notevoli resistenze culturali che ancora frenano l’azione di progettisti ed enti locali.

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