Gen 31, 2024 | News CIRF

Rinnovo grandi concessioni idroelettriche in Lombardia: qualche segnale positivo, ma ancora troppo poco sulle compensazioni ambientali

Dopo una lunghissima attesa, a dicembre 2023 sono finalmente stati pubblicati da Regione Lombardia i primi bandi per il rinnovo delle grandi concessioni idroelettriche. Un passaggio di fondamentale importanza per concretizzare interventi di mitigazione e compensazione ambientale, soprattutto in un contesto, come quello italiano, in cui gli investimenti pubblici in interventi di riqualificazione fluviale sono, in buona parte delle Regioni, prossime allo zero. La riassegnazione della concessione è il momento chiave per indirizzare gli investimenti dei concessionari, e prima che si riproponga trascorreranno molti decenni. I due bandi lombardi sono quindi una prima cartina di tornasole a cui guardare con molta attenzione.

Indicazioni sintetiche ma chiare su quali interventi di mitigazione e compensazione siano prioritari (ripristino della connettività fluviale, riduzione dell’alterazione idrologica, riqualificazione morfologica…) sono state inserite già nella normativa di riferimento (per la Lombardia, la L.R. 8 aprile 2020, n.5) e ribaditi dagli indirizzi distrettuali sulla riassegnazione delle concessioni. Ma chiaramente lo spazio che concretamente avranno in ogni procedura e lo stimolo per i concessionari a investire in questo ambito dipendono da come sono scritti i bandi e in particolare dalle compensazioni ambientali minime obbligatorie e dal peso attribuito nella valutazione delle offerte alle misure ambientali aggiuntive proposte nell’ambito dell’offerta tecnica.

Nei due bandi pubblicati, relativi alle derivazioni Codera-Ratti-Dongo e Resio, vi sono elementi positivi, quali l’aggiornamento del deflusso ecologico (peraltro dovuto da tempo), l’obbligo di adeguamento di alcune opere per garantirne il rilascio, e, per una delle derivazioni, l’introduzione esplicita di un criterio di valutazione relativo alla gestione dell’invaso, che premia il ripristino del trasporto solido a valle e la riduzione degli impatti degli svasi. Tuttavia, gli aspetti che non convincono restano prevalenti.

Una prima criticità, di carattere metodologico generale, è relativa alla “valutazione della sussistenza di un prevalente interesse pubblico a un diverso uso delle acque, incompatibile in tutto o in parte con il mantenimento dell’uso a fine di produzione di energia idroelettrica”. Questa valutazione, di fatto, non viene svolta. Nonostante l’estesa e corretta analisi di compatibilità con la pianificazione vigente, da nessuna parte vi è un reale tentativo di valutazione dei benefici sociali della restituzione della portata attualmente derivata, e dell’integrità ecologica, ai corsi d’acqua oggetto di concessione. Un passaggio, questo, che non dovrebbe essere considerato solo formale e procedurale, ma dovrebbe, al contrario, aiutare a comprendere meglio i servizi ecosistemici forniti da corsi d’acqua naturali e a mettere perlomeno in discussione l’assunto che le concessioni idroelettriche vadano tutte, in ogni caso, rinnovate. Gli esempi europei di mancato rinnovo per prevalente interesse pubblico di un uso ambientale delle acque non mancano e non è scontato che per almeno qualcuna delle derivazioni con concessione scaduta non possa essere presa la stessa decisione.

Inoltre, le misure ambientali obbligatorie in un caso sono assenti (come compensazione si richiede la ristrutturazione di un sentiero escursionistico!) e nell’altro si limitano ad assicurare la continuità idraulica in un tratto a valle (misura certamente utile e necessaria, ma che dovrebbe costituire il minimo indispensabile per rispettare gli obblighi di deflusso ecologico). Ma soprattutto, il peso nella valutazione delle misure ambientali (considerate per di più insieme a quelle di miglioramento paesaggistico e di compensazione territoriale, che non hanno a che fare con gli impatti sull’ecosistema acquatico) è molto basso, soprattutto in relazione a quello dell’offerta economica. In un caso, infatti, vale solo 6 punti su 100 (contro 50 dell’offerta economica nel suo complesso), nell’altro 10. Per i concorrenti, quindi, non sembra particolarmente vantaggioso investire in interventi ambiziosi di riqualificazione dei corsi d’acqua, perché verrebbero premiati meno rispetto a spendere la stessa cifra in un incremento del canone offerto. Quest’ultimo potrebbe teoricamente, a sua volta, contribuire a interventi di miglioramento ambientale da parte della Regione, tuttavia la normativa prevede sia riservata annualmente solo “una quota non inferiore all’1,5 per cento degli introiti, derivanti dall’assegnazione delle concessioni” per finanziare “misure del piano di tutela delle acque, finalizzate alla tutela e al ripristino ambientale dei corpi idrici interessati dalla derivazione” ma anche “dei piani regionali in materia di energia e clima”. Molto poco.

Perché i rinnovi delle grandi concessioni diventino un momento di svolta per la qualità dei corsi d’acqua è quindi necessario dare molto più peso alle misure ambientali, sia quelle obbligatorie, che nella valutazione di quelle aggiuntive.

Andrea Goltara

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Andrea Goltara