Gen 14, 2017 | Riqualificazione Fluviale

Le Cause del Degrado

Il malessere quasi generalizzato dei nostri corsi d’acqua, se pure con le sue peculiarità e con una casistica articolata e complessa, sembra riconducibile ad alcuni fattori causali abbastanza ben identificabili.

Cause di degrado della qualità chimico-fisica delle acque

Le ragioni del degrado della qualità delle acque dei nostri fiumi sono molteplici ma tutte riconducibili a due “categorie” di problemi, intimamente intrecciate:

  • le immissioni di carichi inquinanti che modificano direttamente la “chimica” delle acque e dei sedimenti;
  • le alterazioni idrologiche che provocano lunghi periodi di magra e uno sbilanciamento verso caratteristiche di maggiore lenticità. Queste condizioni incidono sul degrado qualitativo dell’acqua amplificando gli effetti degli inquinanti immessi: lo stesso carico può avere infatti effetti molto diversi se immesso in un fiume con portate sensibilmente ridotte.

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Le soluzioni “classiche”, ovvero quelle adottate fino ad oggi per garantire sia la domanda d’acqua per gli usi umani, sia il mantenimento di buone condizioni ambientali, non sono state in grado di dare i risultati sperati e questo nonostante gli imponenti investimenti e un elevatissimo grado di copertura della rete di depurazione. Cosa non ha funzionato?
Scegliere le soluzioni depurative adeguate al contesto
La soluzione adottata in passato e, osservando i vari piani d’Ambito già approvati, che sarà ancor più seguita in futuro, per trattare i carichi prodotti da fonti puntuali, è quella di realizzare estese reti fognarie collettando tutti gli scarichi di un comprensorio ad un depuratore centralizzato che, per sfruttare il deflusso dei liquami per gravità, viene collocato generalmente il più a valle possibile (spesso in prossimità della foce).
Invece che tanti piccoli depuratori vicino alla fonte inquinante quindi, pochi e grandi depuratori posti spesso anche a distanze ragguardevoli dalla fonte.
Il principale vantaggio generalmente indicato a sostegno di questa soluzione è quello del contenimento delle spese di gestione e di un’elevata resa depurativa (i depuratori convenzionali funzionano meglio con carichi costanti ed elevati).
Sono innegabili però anche una serie di conseguenze negative:
  • questa logica presuppone di convogliare un grosso scarico in un unico punto del corso d’acqua (con portata ridotta) che spesso non è in grado di “smaltire” una dose così elevata di inquinanti somministrata in un colpo solo;
  • potrà apparire paradossale, ma una concausa del mancato recupero della qualità dei corsi d’acqua è da attribuirsi proprio alla crescita delle reti fognarie (più esattamente, a quelle non servite da depuratore, pari a circa il 20% degli AE allacciati): in questo modo liquami che prima erano smaltiti sul suolo o in modo diffuso sulla rete idrografica minore subendo una, almeno parziale (ma spesso consistente) autodepurazione sono concentrati in un unico scarico non trattato che compromette il corpo idrico recettore. Talora, dunque, più fognature significa maggior inquinamento.

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Depuratori vecchi e mal gestiti
La scelta di puntare tutta la strategia depurativa sul collettamento dei reflui ad un numero elevato di depuratori bisognosi di continua manutenzione ha, nei fatti, portato ad avere nel nostro territorio un elevato numero di impianti vecchi e mal gestiti e per questo molto spesso… non funzionanti
.

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Fognature miste..problema unico
La grande maggioranza delle reti fognarie esistenti (circa 227.230 km su 310.000 km complessivi) è di tipo “misto” (raccolgono in un’unica condotta sia i reflui civili (acque nere ed acque grigie) che le acque meteoriche (acque bianche o chiare). Le reti miste comportano, in tempo di pioggia, un brusco e imponente aumento delle portate che, se addotte al depuratore, ne compromettono il funzionamento; da qui la necessità di “scolmare” tramite i cosiddetti “scaricatori di piena” nel corso d’acqua ricettore le portate in eccesso. In questo modo una grande quantità di inquinanti raggiunge i fiumi senza alcun trattamento, anche dove esiste un depuratore funzionante e sufficiente per il carico medio.

Fanghi attivi..non abbastanza
Un altro problema, connesso a quello delle reti miste, riguarda la tecnologia dei “fanghi attivi”, usata dalla stragrande maggioranza dei depuratori italiani. Essa funziona al meglio quando i carichi in ingresso sono sufficientemente concentrati e costanti. In altri termini, l’efficacia depurante dell’impianto è migliore se i liquami in arrivo sono più “sporchi” . E qui sta il problema. Si è detto, infatti, che gran parte delle reti fognarie italiane drena anche acque meteoriche e per di più spesso esse, essendo state realizzate in epoche in cui non si prevedeva di depurare gli scarichi ma si cercava di diluirli, sono costituite da veri e propri torrenti, “tombati” e trasformati in reti fognarie; per questo, anche in assenza di pioggia, i liquami che arrivano ai depuratori hanno concentrazioni di inquinanti spesso assai inferiori a quelle necessarie per un buon funzionamento.

Poca attenzione all’inquinamento diffuso
Una delle conseguenza più macroscopiche delle soluzioni classiche ai problemi dell’inquinamento, e nonostante la Direttiva Nitrati del 1991 che imponeva agli stati membri un’azione significativa di riduzione del problema, riguarda il fatto che esse sono molto incentrate sul trattamento dei carichi inquinanti puntuali mentre danno poco peso e risorse alla riduzione/trattamento dei carichi di origine diffusa. Questo tipo di situazione risulta essere piuttosto critica se si considera l’importanza relativa delle diverse fonti di inquinanti che evidenzia un ruolo determinante del diffuso.

Una politica del risparmio idrico inadeguata e troppo “timida”
I numeri, ahinoi, parlano chiaro: l’80% dei deflussi superficiali e delle acque sotterranee disponibili vengono oggi utilizzate per gli usi umani nel nostro paese, lasciando letteralmente i nostri fiumi “a secco”.
Perché? Beh Da un lato , abbiamo dato vita ad una capillare, imponente e spesso irrazionale rete di circolazione idrica artificiale che rende sempre più scarse le portate naturali in alveo; dall’altro, proprio il massiccio approvvigionamento idrico civile, provocando l’inquinamento dei corpi idrici, spinge alla continua ricerca di nuove risorse di buona qualità da prelevare, dando vita ad un circolo vizioso il cui esito finale sembra l’inevitabile e progressivo inquinamento sia dei fiumi che delle falde.

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Cause di degrado della qualità idromorfologica

Esiste una stretta correlazione fra l’intervento antropico sul corso d’acqua e nella gestione del bacino e le preoccupanti e brusche variazioni morfologiche registrate nei nostri corsi d’acqua determinate in buona parte dall’innesco di processi geomorfologici di incisione e restringimento.
La reazione dei sistemi fluviali all’impatto antropico (ad esempio escavazione di sedimenti o costruzione di una diga) risulta essere brusca e molto attiva nel periodo immediatamente successivo all’impatto; in seguito l’intensità si riduce lasciando però strascichi per molto tempo.
Ma quali sono gli impatti più frequenti in grado di innescare queste dinamiche?

Costruzione di dighe e briglie: la presenza di uno sbarramento trasversale interrompe il trasporto solido creando un deficit di sedimenti a valle. Nel caso degli invasi con bacino di accumulo si ha anche un effetto diretto sulle variazioni del regime idrologico, e indiretto con (generalmente) il taglio delle piene cosiddette “formative” (di media entità) e responsabili dell’attivazione delle dinamiche geomorfologiche.

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Difese spondali: impediscono al corso d’acqua di svolgere le proprie dinamiche e riducono l’apporto di sedimenti dai versanti. Impongono una morfologia diversa rispetto a quella assunta naturalmente (si pensi ad esempio alle rettificazioni).

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Estrazioni di sedimenti in alveo: realizzate in modo massiccio negli anni 50-60′ ma presenti ancor oggi sotto il nome di interventi per la riduzione del rischio idraulico hanno effetti devastanti sulle condizione idromorfologiche dei corsi d’acqua.

Sono infatti responsabili:
• dell’innesco di fenomeni (anche imponenti) di incisione a monte (regressiva) e valle dell’intervento;

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• instabilità laterale dell’alveo, con il manifestarsi di bruschi fenomeni di variazioni di larghezza e l’innesco di fenomeni di erosione spondale e migrazione laterale dell’alveo in tratti precedentemente stabili;

• abbassamento della falda conseguente all’abbassamento del pelo libero dell’acqua e della falda ad esso connessa

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Sono inoltre responsabili anche di altri fenomeni quali in particolare instabilità delle infrastrutture e accentuamento o attivazione dell’erosione costiera per il mancato apporto di sedimenti veicolati dal corso d’acqua.

Derivazioni: hanno un effetto diretto sulle variazioni del regime idrologico, e possono influenzare sensibilmente il manifestarsi di piene “formative”.

Plateazioni: hanno un effetto diretto sulla riduzione (scomparsa) delle forme fluviali e delle dinamiche geomorfologiche.

Manutenzione ordinaria: annullamento delle forme fluviali presenti soprattutto nel caso di disalvei, riprofilature e ricalibrature; nel caso dei tagli della vegetazione variazioni della morfologia di sponda e delle aree perifluviali.

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Cause di degrado della qualità biologica

Vista la stretta dipendenza di tutti gli organismi acquatici alla qualità dell’acqua, possiamo tranquillamente affermare che tutte le cause di degrado considerate per questa componente siano in grado di peggiorare anche la qualità biologica dei corsi d’acqua.
Questo ragionamento riguarda anche le cause di perdita di qualità idromorfologica: in corsi d’acqua soggetti a forti variazioni idromorfologiche inevitabilmente si registra una variazione degli habitat presenti che causerà la perdita di organismi adattati a quel tipo di habitat e magari favorirà altri organismi prima non presenti. Va inoltre considerato che buona parte degli interventi di sistemazione idraulica tendono ad omogeneizzare il fondo e le sponde per conferire sezioni più regolari possibili; oltre alla variazione del tipo di habitat si ha in genere una perdita netta di tipologie di habitat a cui corrisponde una perdita complessiva di biodiversità; non solo specie diverse rispetto a quelle attese in condizioni di riferimento quindi, ma anche meno specie.

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Oltre al cambiamento e all’annullamento degli habitat, un altro effetto indotto dall’artificializzazione infine è quello di creare delle vere e proprie barriere fisiche che impediscono gli spostamenti degli organismi duranti fasi fondamentali del loro ciclo vitale; l’esempio più intuitivo è il non superamento di briglie o dighe da parte della fauna ittica. Più in generale possiamo affermare che la qualità biologica viene pesantemente condizionata dalla perdita di continuità.

Rispetto a questi fattori di degrado è utile puntualizzare un aspetto piuttosto significativo e spesso sottovalutato: gli impatti legati all’artificializzazione sono in genere i più persistenti e impattanti le comunità biologiche.

Oltre ad essere condizionata pesantemente dalle stesse cause di degrado della qualità chimico-fisica e idromorfologica la qualità biologica dei corsi d’acqua viene impattata anche da azioni di impatto più dirette:
– disturbo per attività antropiche;
– pesca: prelievi ed immissioni di materiale ittico non idoneo.