Se pure con diversi margini di incertezza, per ciascuna di queste componenti alcune tendenze generali sono note:
Qualità chimico – fisica
Riguardo al passato, anche se non esistono dati certi, è opinione diffusa che la qualità delle acque nei fiumi italiani sia generalmente migliorata tra la fine degli anni ’70 (in cui i fiumi versavano in condizioni drammatiche) e i primi anni ’90, per effetto sia della dismissione dell’industria pesante (chimica, siderurgia), sia per l’entrata in funzione dei sistemi di depurazione (da allora sono stati realizzati 7.000 depuratori civili ed un numero molto elevato di depuratori industriali).
A partire dagli anni ’90 sono disponibili dati di monitoraggio raccolti in modo sempre più esteso e sistematizzato e relativi alla qualità chimico fisica dell’acqua in termini generali (indice LIM – Livello di inquinamento chimico fisico valutato attraverso la misura delle concentrazioni di alcune sostanze e parametri indicativi), alla presenza di inquinanti specifici in concentrazioni pericolose e allo stato della comunità dei macroinvertebrati (indice IBE, incentrato sull’analisi di una componente biologica, la comunità di macroinvertebrati, ma sensibile, in particolar modo, alle alterazioni della qualità chimico fisica e per questo discusso in questo paragrafo). Tali informazioni vengono generalmente integrate in due indici sintetici, il SECA (Stato Ecologico, che rispecchia di fatto il peggiore dei valori fra LIM e IBE e che nonostante il nome rimane un indice molto ancorato alla misura della qualità chimico-fisica) ed il SACA (Stato Ambientale, che conferma o riduce alle classi scadente e pessimo il valore del SECA se in presenza di superamento dei limiti di concentrazione di determinati inquinanti specifici pericolosi).
Osservando i dati di LIM, SECA e IBE disaggregati per distretto idrografico e raccolti nel “Directive 2000/60/EC Article 5 Report” (si veda il seguente esempio relativo al bacino del Po), si nota una situazione qualitativa piuttosto preoccupante: solo alcune stazioni montane in qualità elevata (in azzurro), alcune tratti in qualità buona (in verde); poi, una volta raggiunta la pianura, solo stazioni in stato sufficiente (in giallo) e scadente (in arancione) e alcuni tratti in qualità addirittura pessima (in rosso).
L’esempio ben rispecchia la situazione generale dei fiumi Italiani come confermato da alcune recenti statistiche a scala nazionale. Una conferma si può trarre osservando il grafico tratto nel recente “Estratto Annuario dei dati ambientali APAT 2005-2006” da dove emerge che oggi solo nel 39% delle stazioni di monitoraggio si raggiunge il livello buono o elevato dell’indice SECA.
Nella stessa fonte è infine reperibile una dato di sintesi del trand nel periodo 2000 – 2004 che ben fotografa quanto già sopra evidenziato:
Per concludere possiamo dire che nonostante i grandi investimenti in sistemi fognari e depurativi realizzati negli ultimi decenni, che hanno portato al quasi raggiungimento degli obiettivi di conformità al trattamento dei reflui, i fiumi Italiani mostrano ancora – se si eccettuano alcuni casi gravissimi come il Lambro in Lombardia, il Sarno in Campania, il Canale Navile a Bologna e alcuni corsi d’acqua minori – una situazione non drammatica, ma certamente nemmeno buona.
Un discorso a parte merita l’inquinamento da “inquinanti specifici” che includono un’ampia gamma di sostanze pericolose (metalli pesanti, pesticidi, fitofarmaci…) di diversa natura e derivazione (Tabella 1/A dell’Allegato 1 alla parte III del DLgs. 152/2006). Da questo punto di vista il monitoraggio e la definizione stessa delle concentrazioni limite non sembrano ancora completamente a sistema e il quadro informativo a livello nazionale risulta ancora poco omogeneo; nonostante questo, dall’analisi dei Piani Tutela Acque Regionali si osserva la presenza di numerose situazioni di criticità.
Qualità biologica
Come premesso, indagini sistematiche ed omogenee sulle co mpon e nti biotiche sono oggi disponibili solo per i Macroinvertebrati (l’applicazione d ell’indice IBE era già prevista con il Dlgs. 152/99) mentre per la componente ittiofaunistica e per la flora a cquatica, così come previsto dalla Direttiva 2000/60 e dal Dlgs. 152/06, dovre bbero a breve venire definiti gli indicatori ed avviati i monitoraggi.
Nonostante questo, con dati provenienti da studi specifici è già oggi possibile definire un quadro preliminare della situazione attuale.
Fauna ittica
Se si considerano a i pesci, la grande maggioranza delle specie ritenute indigene è in declino, sia in termini numerici che di areale, diverse specie sono a rischio di estinzione o presentano comunque popolazioni in forte contrazione. Considerando ad esempio la “Lista rossa dei pesci d’acqua dolce autoctoni del bacino padano” secondo i criteri dell’IUCN:
- solo 1 specie non è da considerare a rischio: il Cavedano
- 2 specie sono già estinte: lo storione (Acipenser sturio) e lo Storione ladano
- 3 sono gravemente minacciatre, 7 minacciate e ben 14 vulnerabili;
- 13 infine le specie quasi a rischio;
In forte aumento invece le specie esotiche; un esempio su tutte il Siluro, ma anche a pesce gatto, Abramide, Misgurno di stagno, Rodeo amaro….
Osservando in tabella il quadro delle “minaccie” intese come fattori causali sul declino di molte specie si osserva una forte e costante incidenza dell’inquinamento delle acque (e questo è coerente con il quadro tracciato sulla qualità chimico-fisica) e dell’ artificializzazione degli alvei fluviali e costruzione di sbarramenti fluviali lungo i corsi d’acqua. Questi fattori incidono più significativamente degli impatti legati alla pesca, all’inquinamento genetico e alla competizione con specie aliene.
Se questi dati verranno confermati appare evidente che l’unica strategia possibile per la salvaguardia del nostro patrimonio ittico passa attraverso la riqualificazione ed il miglioramento delle condizioni complessive dei corso d’acqua.
Il quadro critico e le problematiche evidenziate per il bacino padano, se pure con le dovute cautele, sono purtroppo rivenibili anche nei corsi d’acqua delle altre aree regioni italiane.
L’indice IBE, nei dati aggregati oggi disponibili, spesso non viene fornito in modo separato ma già aggregato al LIM per dare l’indice SECA; le considerazioni riportate nel paragrafo qualità chimico-fisica dell’acqua vanno quindi tenute in considerazione anche a commento di questa componente.
Nonostante la loro importanza, in Italia, a differenza che il altri paesi europei, lo studio di queste componenti, risulta relativamente recente. Non è pertanto disponibile al momento un quadro chiaro e omogeneo della situazione nei fiumi italiani né si è ancora giunti alla definizione finale e relativa applicazione di indici di valutazione sintetici.
Nonostante questo è sempre stata poco considerata come elemento per la valutazione dello stato dei corsi d’acqua; la stessa WFD la “declassa” al ruolo di elemento idromorfologico “a sostegno” degli elementi biologici, mentre -in quanto componente vivente essenziale del sistema fluviale- meriterebbe il pieno riconoscimento di elemento di qualità biologica (al pari delle macrofite acquatiche e del fitobentos).
In Italia, a livello di indici sintetici specifici di valutazione sono presenti solo alcune proposte. Probabilmente il maggior numero di informazioni è raccolto nei molti tratti di corsi d’acqua su cui è stato applicato l’indice IFF (Indice di Funzionalità Fluviale) che contiene alcune domande specifiche su questa componente; un dato però esplicitato alla sola componente vegetazionale e messo a sistema su scala nazionale derivato dalle applicazioni di questo indice non risulta disponibile.
Un’esperienza significativa in termini di copertura spaziale su scala vasta, è quella contenuta nel Piano Tutela Acque della regione Lombardia che offre una rappresentazione di sintesi dello stato della vegetazione (basato principalmente su indici calcolati da foto aeree).
Per integrare il quadro sulle varie componenti biotiche si riportano i seguenti dati contenuti nel documento di WWF e CIRF “LA RINASCITA DEL PO. Una proposta per il più grande fiume d’Italia”.
– è il caso, ad esempio, di alcune specie di molluschi come il raro Physidae Aplexa hypnorum, recentemente scomparso dagli stagni della riserva o la rarefazione di specie rare per l’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) come Segmentina nitida e Unio mancus;
– un altro gruppo di invertebrati acquatici, particolarmente vulnerabili, sono i Coleotteri idroadefagi: delle 43 specie presenti a Le Bine nella metà degli anni ’80 (Mazoldi, 1987; Toledo, 1988) si è giunti alle 24 del 2000 (ma lo stesso, ad esempio, è avvenuto per la riserva di Marcaria ed altre zone limitrofe);
– anche anfibi endemici della pianura padana, come la rana di Lataste (Rana latastei) hanno subito e stanno subendo le conseguenze di una gestione delle acque che non tiene conto delle caratteristiche eco idrogeologiche e dei cicli biologici delle specie;
– contemporaneamente vi è stato un ingresso continuo di “nuove” specie, alloctone, che si stanno diffondendo rapidamente e contribuiscono all’impoverimento della biodiversità originale. Si va dai gamberi americani (Orconectes limosus, Procambarus clarkii), ai molluschi bivalvi asiatici o centro est europei (Anodonta woodiana, Corbicula fluminea, Dreissena polimorpha), alla nutria o castorino, originaria del sud America, che ha un notevole impatto strutturale sull’intero habitat palustre. Da questo punto di vista la dell’Oglio è emblematica dell’intero bacino padano: delle 64 specie aliene censite nelle acque dolci italiane (Gherardi et al, 2007) almeno 54, cioè oltre l’84%, sono presenti nei corpi idrici del bacino del Po, alcune di queste mostrano comportamento invasivo, riescono cioè velocemente a diffondersi da un punto d’immissione divenendo ben presto abbondanti e preminenti sulle specie o biocenosi autoctone.
Qualità idromorfologica
- regime idrologico: quanto si discosta il regime di un corso d’acqua rispetto a quello delle condizioni di riferimento?
- continuità fluviale: esistono barriere (argini, briglie, dighe, difese spondali..) che hanno interrotto la continuità longitudinale, verticale, laterale del corso d’acqua?
- condizioni morfologiche: rispetto alle condizioni di riferimento, il corso d’acqua ha variato la sua morfologia a seguito di processi di incisione, restringimento, allargamento, sedimentazione e conseguentemente sono variate le forme presenti in alveo e nella zona ripariale?
Alla luce di questa definizione, la quasi totalità dei corsi d’acqua italiani presenta un regime idrologico pesantemente alterato (portate ridotte, andamento del regime modificato..) a seguito di derivazioni per uso umano e realizzate principalmente a fini di: produzione idroelettrica, irrigazione, utilizzo industriale, uso idropotabile e civile secondo la ripartizione sotto riportata:
Già nelle parti montane dei bacini, e poi con sempre maggiore evidenza avvicinandosi alle zone antropizzate, la continuità dei nostri corsi d’acqua è stata nel tempo drasticamente ridotta. Il motivo principale è chiaramente collegato alla realizzazione di estesi e capillari interventi di sistemazione idraulica.
Non sono invece rinvenibili dati precisi sulla lunghezza complessiva dei tratti difesi o arginati ma la percentuale risulta sicuramente elevatissima e la continuità laterale risulta gravemente compromessa.
Per quanto concerne la continuità verticale, il problema non risulta tanto legato all’interruzione diretta per la realizzazione di opere di plateazione, quanto alla diffusa tendenza all’incisione dei nostri fiumi a cui consegue la perdita del rapporto con la falda.
Si consideri infine, che a fronte degli enormi investimenti e dell’enorme “prezzo ambientale” pagato per la realizzazione di queste opere, l’obiettivo che dovrebbe giustificarne la realizzazione e cioè la riduzione del rischio idraulico e idrogeologico non è stato conseguito, anzi il rischio è aumentato e lo stesso i danni.
Condizioni morfologiche
- Fiume Po: l’alveo del Po, come quello di molti suoi affluenti, si è abbassato notevolmente in questi ultimi 30 anni. Vi sono previsioni (Lamberti A., Schippa L., 1994) di ulteriore abbassamento che, se calcolate nel trentennio 1993-2023, risultano comprese tra i 2.4 e i 4.3 m al porto di Cremona (prudenziale 3.5 m) giudicato verosimile purché vengano contenute, seppure gradualmente, le escavazioni dall’alveo. Si tenga presente che da dati su alcune sezioni di riferimento, rese note dall’Autorità di bacino del Po, sono stati registrati nel periodo 1951 – 1999 approfondimenti fino a oltre 5 metri (rif. Sezioni: “Cremona” e “Boretto valle”) con punte frequenti intorno ai 3 – 4 metri (rif sezioni “Boretto monte” e “Pontelagoscuro”);
- il Brenta si e’ abbassato di 4 -8 m;
- vari affluenti appenninici del Po (Secchia, Taro) e vari fiumi delle Marche si sono abbassati di 2-5 m, ma localmente anche fino a 12-13 m.
Restringimenti
L’analisi di queste tendenze evolutive, abbinata a quella degli interventi antropici effettuati (sistemazioni idrauliche, escavazioni, uso del suolo nel bacino) ha evidenziato una relazione causale molto stretta; si è osservato inoltre che gli aggiustamenti morfologici conseguenti agli impatti indotti si manifestano con tempi di reazione estremamente contenuti.