Cosa vogliamo

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Analizzare il malessere dei nostri fiumi e del territorio

Il 77% dei 139 maggiori sistemi idrografici del Nord America, dell’Europa e delle ex Repubbliche Socialiste Sovietiche è oggi pesantemente alterato da sbarramenti, diversioni di bacino e opere di regimazione che hanno stravolto le caratteristiche, ridotto la funzionalità, compromesso il valore ecologico di questi ecosistemi; anche in Cina, India e più in generale nei paesi del “Sud del mondo” gli interventi di “artificializzazione” dei corsi d’acqua si stanno diffondendo rapidamente.
In Italia, la situazione è estremamente compromessa: se guardiamo ad esempio all’impatto legato al solo uso idroelettrico, si osserva come nelle Alpi solamente il 9,6% del reticolo idrografico possa essere classificato come “prossimo allo stato naturale” e come appena 5 torrenti abbiano almeno 20 km di percorso non perturbato! Considerando più in generale la questione dei prelievi per gli usi umani, secondo recenti dati IRSA, circa l’80% dei deflussi superficiali e delle acque sotterranee disponibili vengono oggi utilizzate per gli usi umani nel nostro paese, lasciando letteralmente i nostri fiumi “a secco”. In relazione al tema dell’inquinamento e della qualità delle acque, secondo un rapporto del 2006 dell’Istituto Ambiente Italia su dati APAT, il 21% delle stazioni di monitoraggio rileva uno stato ecologico scadente o pessimo, il 42% sufficiente e solo il 36% buono e l’1% elevato!!!

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Acque nere, schiumose, puzzolenti…quest’immagine potrebbe riportare la nostra mente ai primi anni ’70 durante lo sfrenato e deregolamentato boom industriale..oppure alla Cina dei nostri tempi…niente di tutto ciò, si tratta dello scarico del depuratore di una grande città del nord Italia, oggi.

Oltre ai problemi di quantità e qualità delle acque, nei fiumi italiani si registra una tendenza generalizzata a fenomeni di incisione e restringimento con un’evoluzione verso morfologie a canale singolo e perdita di connessione fra il fiume e  le fasce riparie, ambienti di straordinaria importanza e ricchezza. Al degrado qualitativo è corrisposta una perdita di molte funzioni essenziali per l’equilibrio della biosfera, come il trasporto di sedimenti, la ricarica delle falde e la capacità di autodepurazione.
Può apparire sorprendente il fatto che, a fronte di un “prezzo” ambientale così elevato, invece di raggiungere la sicurezza idraulica sperata e perseguita con estesi ed imponenti interventi di artificializzazione, ci si trovi oggi in Italia in una situazione di rischio generalizzato con danni ingentissimi e dell’ordine di 3 miliardi di euro all’anno (fonte Gazzetta Ufficiale del Senato, 1992; costi attualizzati al 1992). In realtà è ormai evidente che l’artificializzazione generalizzata, unita all’impermeabilizzazione del territorio e all’irresponsabile proliferazione di insediamenti residenziali, artigianali e commerciali in aree ad elevata pericolosità idraulica, ha accresciuto la frequenza e la violenza delle inondazioni e l’entità dei danni. Questi eventi pertanto più che “calamità naturali” sono diretta conseguenza del malgoverno dei fiumi e del territorio. La frequenza di eventi meteorici estremi sembra, d’altra parte, aumentare anche in conseguenza dei mutamenti climatici in corso. In assenza di un nuovo approccio, la situazione sembra quindi destinata a peggiorare ulteriormente.

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Contribuire ad evitare politiche e comportamenti miopi

Le cause del malgoverno vanno dunque individuate principalmente in un approccio monosettoriale e imprevidente: per troppi anni, infatti, i corsi d’acqua sono stati considerati solo una fonte di pericolo da domare, una risorsa da sfruttare o un semplice ricettacolo di reflui e rifiuti.
Scopo principale delle politiche di tutela delle acque dall’inquinamento (basate sul controllo degli scarichi) era garantire una disponibilità di acqua in quantità e qualità sufficienti a soddisfare gli utilizzi umani, prescindendo dall’equilibrio ecologico-ambientale del corpo idrico. Per conseguire la “sicurezza” idraulica, anziché puntare su un’oculata gestione territoriale, garantendo ai fiumi spazi sufficienti al transito e alla laminazione delle portate di piena ed evitando la localizzazione degli insediamenti nelle aree ad elevata pericolosità idraulica, si è preferito sistemare i fiumi con alvei geometrici, devegetati e ristretti entro argini sopraelevati, con difese spondali, briglie, risagomature, escavazioni, canalizzazioni, cementificazioni, dighe. Una sorte analoga è toccata ai molti canali e fossi di bonifica, con interventi finalizzati ad affrancare i terreni dalle acque per renderli idonei a scopi produttivi o edificatori.

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La manutenzione idraulica dei corsi d’acqua così sistemati si è basata quindi sulla rimozione pressoché totale della vegetazione e sul dragaggio e riprofilatura degli alvei, impoverendone ulteriormente gli ecosistemi, causando l’ulteriore velocizzazione delle acque e l’erosione di sponde e infrastrutture.

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Un intervento pubblico così orientato (o disorientato?) e scoordinato ha consentito troppo spesso al privato di fare “man bassa” della risorsa fiume, soprattutto attraverso una selvaggia estrazione di inerti che ha lasciato un segno profondo e irreversibile in molti corsi d’acqua e che continua in molti  casi ancor oggi sotto il nome di “interventi di sicurezza idraulica” o, addirittura, di “riqualificazione ambientale e paesaggistica”.

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Promuovere la riqualificazione fluviale

Sorge perciò l’esigenza pressante di un’inversione di tendenza che punti con forza ad una gestione più sostenibile dei bacini idrografici e alla rinaturazione e riqualificazione dei corpi idrici. Per riqualificazione fluviale si intende un insieme integrato e sinergico di azioni e tecniche, di tipo anche molto diverso (dal giuridico-amministrativo-finanziario, allo strutturale), volte a portare un corso d’acqua, con il territorio ad esso più strettamente connesso (“sistema fluviale”), in uno stato più naturale possibile, capace di espletare le sue caratteristiche funzioni ecosistemiche (geomorfologiche, fisico-chimiche e biologiche) e dotato di maggior valore ambientale, cercando di soddisfare nel contempo anche gli obiettivi di economici e sociali (minimizzazione del rischio idraulico, utilizzo razionale delle risorse idriche perl’approvvigionamento idropotabile, gli usi irrigui, la produzione idro-elettrica, ecc…).
La riqualificazione si basa su interventi strutturali, gestionali e programmatori, attraverso un approccio realmente integrato, in cui la partecipazione attiva delle parti sociali e istituzionali coinvolte gioca, inevitabilmente, un ruolo fondamentale.
La riqualificazione richiede spesso finanziamenti significativi, che non necessariamente devono provenire solo dalla mano pubblica; pertanto, richiede ed offre allo stesso tempo un ruolo chiave ai privati che, sotto la tutela dell’Amministrazione, possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi di riqualificazione. Richiede inoltre di riconoscere che gli obiettivi da raggiungere sono spesso in conflitto, e così i gruppi di interesse coinvolti. Occorre quindi cercare soluzioni concertate che, nell’ottica della negoziazione, compiano lo sforzo di massimizzare i benefici ambientali e sociali cercando, nella misura del possibile, di non lasciare nessuno “peggio di prima”.
A tal fine non è più possibile limitarsi al solito processo di stendere un piano (decisione), renderlo noto (annuncio) e cercare di minimizzare le reazioni (difesa).
Occorre un approccio veramente innovativo tanto sul piano tecnico che procedurale.
Il nuovo approccio culturale multidisciplinare deve essere recepito e applicato sia da parte dei “saperi” tecnici (Servizi tecnici, Genio Civile, Consorzi di Bonifica, ecc., ma anche progettisti e imprese incaricati di realizzare opere), sia da parte dei soggetti preposti alla pianificazione territoriale (Autorità di Bacino, Regioni, Province, Comuni, Comunità Montane, Parchi…): i primi devono riuscire ad affrontare i problemi della sicurezza idraulica in modo integrato con le esigenze di tipo idrologico, geologico e biologico dei corsi d’acqua, i secondi devono puntare a trasformare il Piano da un insieme di cartografie e regole, spesso calate dall’alto, ad uno strumento duttile, in grado di rendere espliciti e conciliare i diversi interessi che insistono sul territorio.

 

In sintesi, le linee essenziali per tradurre in scelte e azioni concrete l’approccio della riqualificazione fluviale si traducono in:

modo di condurre i processi decisionali

  • adozione di una visione sistemica – capace di considerare le interrelazioni tra componenti e processi – e “olistica” per giudicare gli effetti simultaneamente da tutti i punti di vista rilevanti;
  • multidisciplinarietà e interazione tra tecnici di diversa formazione per superare l’approccio essenzialmente ingegneristico;
  • partecipazione, nelle scelte pianificatorie e progettuali, dei soggetti i cui interessi, spesso conflittuali, sono coinvolti e concertazione delle azioni attraverso una loro valutazione integrata e basata sull’analisi multicriterio (confronto tra interessi conflittuali e parti sociali).

scelta del tipo di azioni

  • puntare il più possibile ad azioni e tecniche di intervento che permettano di lasciare o restituire al fiume  porzioni di territorio da destinare alla sua naturale evoluzione geomorfologica e in modo che esse possano tornare a svolgere le loro funzioni di laminazione delle piene, corridoio ecologico, ecosistemi filtro, serbatoio di biodiversità.
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Un’azione di riqualificazione fluviale, con arretramento delle difese per ridare spazio al corso d’acqua (fiume Emme, Svizzera – Foto rielaborata da: Requena P., Weichert R.B. & Minor H.-E., 2006).

  • favorire l’adozione di azioni e interventi che si prestino al raggiungimento di obiettivi diversi, quali ad esempio:

– il recupero della vegetazione nelle fasce riparie non solo funzionale all’incremento della naturalità, ma anche al miglioramento della qualità delle acque e/o al miglioramento della capacità di laminazione delle piene;
– la rimozione/sostituzione di opere di difesa in base ad un’analisi a scala di bacino, favorendo il miglioramento ambientale e, nello stesso tempo, il riequilibrio geomorfologico, quindi la riduzione del rischio di destabilizzazione di ponti e altre opere in alveo;
– la creazione di percorsi fluviali o aree fruibili con interventi che non irrigidiscano ulteriormente il sistema fluviale.

  • adozione di criteri e tecniche a basso impatto (ingegneria naturalistica) per la realizzazione di quegli interventi di difesa idraulica ritenuti strettamente necessari (ad esempio all’interno di aree fortemente urbanizzate).

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