Mag 26, 2017 | News CIRF

LETTERA APERTA SULLA RIQUALIFICAZIONE FLUVIALE IN ITALIA – 2° Convegno italiano sulla riqualificazione fluviale – Bolzano, 6-7 novembre 2012

La riqualificazione fluviale (RF) è riconosciuta a livello internazionale come approccio multidisciplinare che ha per obiettivo primario il miglioramento ambientale dei corsi d’acqua. Intervenire sull’ecosistema fluviale significa tuttavia influenzare una serie di servizi ambientali (ecosystem services) a questo correlati e di rilievo per la nostra società: dalla gestione delle piene alla produzione di energia idroelettrica, dagli usi plurimi delle risorse idriche al ripascimento delle coste, dal ravvenamento delle acque di falda alla qualità della vita tramite la fruizione ambientale, dalla conservazione di beni culturali alla ridefinizione degli spazi di valenza urbanistica. Fare RF, nel senso più esteso del termine, significa quindi interagire con questi interessi ricorrendo a processi decisionali partecipati e produrre strategie capaci di esaltarne le sinergie e minimizzarne i conflitti, attraverso un miglioramento complessivo dello stato ecologico.

Già quattro anni fa scrivevamo in un editoriale della rivista del CIRF che “riqualificazione fluviale” non è più un termine oscuro in Italia per amministratori, ricercatori e professionisti e che alcuni concetti chiave cominciano ad essere presi in considerazione nella pianificazione territoriale. Nel frattempo le conoscenze, gli approcci metodologici e le proposte progettuali sono ulteriormente cresciuti, come dimostrato anche da contenuti e partecipazione a questo secondo convegno nazionale. Tuttavia rileviamo come, in termini di effetti tangibili, il progresso sia ancora molto – troppo – lento: piani, programmi e progetti lungimiranti restano perlopiù sulla carta e in molti contesti territoriali il ritmo di avanzamento del degrado degli ecosistemi acquatici è ancora decisamente superiore a quello del loro recupero.

Eppure vi sono fronti dove la RF potrebbe già oggi trovare ampia giustificazione. Tra questi il più rilevante è quello dell’implementazione congiunta delle direttive comunitarie “Acque” (2000/60/CE) e “Alluvioni” (2007/60/CE), le quali sostanzialmente richiedono agli Stati Membri una gestione efficace del rischio idraulico integrata con gli obiettivi di qualità dei corpi idrici. Da almeno vent’anni in diversi Paesi europei si sono iniziati a riconoscere i limiti di un approccio alla gestione puramente “infrastrutturale” del rischio idraulico. Di conseguenza hanno preso piede le prime esperienze fondate sul concetto di “restituire spazio al fiume” e, ove e quanto compatibile con il contesto, di assecondarne le dinamiche, lasciando la possibilità ai corsi d’acqua di esondare o erodere dove questo possa avvenire senza minacciare vite umane o beni di interesse rilevante. In tal senso sia in Europa che nel mondo sono già numerosi gli esempi di successo di politiche gestionali incentrate sulla sinergia tra i due obiettivi di diminuire il rischio e migliorare l’ecosistema fluviale.

Ma allora, data l’attuale urgenza e centralità di implementare politiche integrate, anche alla luce dell’attuale contingenza economica che impone scelte lungimiranti, quali sono i nodi critici che bloccano lo sviluppo della RF in Italia? Quali sono i passi urgenti da compiere? E da parte di chi?

Sebbene persistano ostacoli di vario ordine, riteniamo che al momento tra i principali vi sia un impianto normativo ed istituzionale che non favorisce un approccio integrato alla pianificazione e gestione dei corsi d’acqua. In Italia la babele di piani che invecchiano prima della loro implementazione (il D.Lgs 152/06 prevede la redazione di numerosi piani con evidenti sovrapposizioni: il piano di bacino distrettuale, il piano di gestione delle acque, il piano per l’assetto idrogeologico, il piano di tutela delle acque, il piano d’ambito, a cui vanno aggiunti i “piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico”), il conflitto di competenze tra i diversi livelli amministrativi, la reiterata prevaricazione degli interventi emergenziali sulla pianificazione, l’approccio settoriale alle politiche territoriali e l’insufficiente sviluppo dei percorsi partecipativi rallentano l’attuazione di strategie di RF secondo modelli ed esperienze già positivamente percorsi in Europa.

I piani di gestione di distretto idrografico, che dovrebbero aver fornito – nonostante la redazione tardiva – il quadro strategico di riferimento per la gestione integrata dei bacini fluviali, identificano nella maggior parte dei casi linee d’azione generiche e solo in parte adeguate agli obiettivi da raggiungere, senza integrare veramente quel cambio di paradigma che la Direttiva Quadro presupporrebbe. Ma anche quando sono ampiamente condivisibili, le linee di azione enunciate sembrano ancora molto lontane da un’effettiva realizzazione tramite adeguati programmi di misure, le cui modalità di attuazione, tempi e fonti di finanziamento restano molto incerti. Il fatto che i piani di gestione siano stati adottati, ma non ancora approvati dal Presidente del Consiglio dei Ministri è un ulteriore segnale in tal senso, oltre che indice di scarso supporto politico a queste strategie, i cui benefici, evidentemente, non sono ancora stati sufficientemente compresi.

UN’OCCASIONE DA NON PERDERE

Ci pare fondamentale fare in modo che anche l’Italia riesca a compiere nel breve periodo quelle trasformazioni normative ed istituzionali che le permettano di implementare strategie nazionali di RF serie ed efficaci. Di seguito si evidenziano alcuni punti prioritari che il CIRF ritiene debbano essere affrontati.

1. Risulta opportuna e auspicabile una presa di posizione netta del Governo, e in particolare del Ministero dell’Ambiente sul tema della gestione integrata dei sistemi fluviali e sull’importanza di una strategia nazionale per la riqualificazione dei corsi d’acqua, così come è avvenuto in altri Paesi europei. Analogamente, approssimandosi una importante stagione elettorale, è necessario che questi temi vengano integrati nel dibattito politico, in quanto hanno a che fare con i modelli economici e di uso del territorio e, nelle loro linee generali, vanno ben oltre la dimensione tecnica settoriale, con ricadute concrete sulla vita delle generazioni presenti e future.

2. Il quadro normativo attuale deve essere semplificato al fine di identificare più chiaramente e univocamente le responsabilità di enti ed istituzioni coinvolti nella gestione dei corsi d’acqua italiani. La costituzione degli organi istituzionali dei distretti idrografici, ad esempio, andrebbe effettuata al più presto, risolvendo i problemi residui connessi alla loro delimitazione territoriale. Più in generale, appare urgente una revisione della parte terza del D.Lgs. 152/2006. Le risorse a disposizione delle Autorità di bacino devono essere proporzionate alle attività da svolgere. Canali preferenziali di finanziamento dovrebbero essere attivati per quelle misure volte al contemporaneo raggiungimento di obiettivi di riduzione del rischio e di miglioramento dello stato ambientale, anche in linea con quanto previsto dall’art. 72 del Testo Unico Ambientale e sviluppando il “recupero totale dei costi” di cui all’art. 154.

3. Serve una pianificazione strategica, che tenga in considerazione sinergie e interazioni esistenti tra le diverse politiche, le quali non possono più essere affrontate in modo parallelo e scoordinato. I piani di gestione dovranno contenere linee d’intervento che puntino a soddisfare al contempo più obiettivi, cogliendo le opportunità derivanti da ambiti diversi (la gestione dei sistemi fluviali e del rischio idrogeologico, la nuova Politica Agraria Comunitaria, le politiche energetiche, la pianificazione del territorio, la tutela del paesaggio) ma tra loro fortemente interconnessi. È un passaggio indispensabile anche in un’ottica di ottimizzazione delle scarse risorse finanziarie attualmente disponibili. I conflitti tra obiettivi anche legislativi diversi vanno affrontati esplicitamente. Particolarmente importanti per i fiumi italiani sono quelli tra tutela delle acque e politica energetica: da un lato la mitigazione degli impatti degli impianti idroelettrici esistenti è ancora molto limitata, dall’altro gli obiettivi ambientali globali di produzione di energia da fonti rinnovabili sono stati spesso superficialmente tradotti in un via libera con sempre meno freni alla realizzazione di nuovi impianti. Questo sta mettendo seriamente a rischio non solo il raggiungimento degli obiettivi di qualità per i corpi idrici, incluso quello fondamentale di non deterioramento, ma anche la conservazione degli ultimi tratti di corsi d’acqua naturali, spesso per un beneficio trascurabile in termini energetici. Sia la pianificazione energetica regionale, che il sistema di incentivi, necessitano di maggiori sforzi di integrazione.

4. La gestione dei rischi da alluvioni, così come ci richiede la direttiva omonima, deve essere incardinata sui concetti di non occupazione o ripristino delle aree destinate all’espansione naturale dei corsi d’acqua, di minimizzazione del rischio e di misure di adattamento al rischio residuo e non della costruzione di opere in modo diffuso. E di abbandonare l’ottica degli interventi di emergenza e dei “piani straordinari”. Ci dobbiamo affrancare dal paradigma del “mettere in sicurezza” a tutti i costi, immaginando che il problema della mitigazione del rischio si possa risolvere solo attraverso la realizzazione di interventi infrastrutturali. I fatti dimostrano che le scelte compiute in ossequio a questo approccio hanno spesso condotto a un incremento del rischio sostanzialmente perché – grazie alla presunta messa in sicurezza – si costruisce di più e non ci si impegna a ridurre la vulnerabilità. L’implementazione della direttiva alluvioni avviene ora, pertanto questo è il momento di cambiare strategia da parte di Regioni e Autorità di Bacino e non approfittare di questa occasione sarebbe a nostro avviso un’enorme opportunità persa. Per attuare questo approccio, il ruolo del mondo agricolo, detentore degli ultimi spazi non urbanizzati e quindi ancora realisticamente aperti a usi integrati, è indispensabile, così come lo sono adeguati strumenti finanziari per compensare i servizi ambientali forniti dagli agricoltori. Proprio ora ci troviamo nelle fasi chiave di revisione della Politica Agricola Comunitaria e l’Italia avrebbe tutto l’interesse a chiedere con forza strumenti adeguati a supportare strategie per una diversa gestione delle pianure fluviali. Fondamentali, inoltre, ci paiono gli esiti del dibattito finalmente in corso sul consumo di suolo, che deve portare a risultati tangibili e accompagnati da strumenti adeguati. I Comuni, ad esempio, non dovrebbero più essere costretti a svendere il proprio territorio alla speculazione edilizia per coprire i costi generali tramite gli oneri di urbanizzazione e le strategie del Paese per far quadrare i conti non dovrebbero basarsi sulla svendita del demanio (quello fluviale in primis).

5. Il coinvolgimento attivo delle comunità locali deve trasformarsi in un vero e proprio processo di responsabilizzazione di tutti i soggetti interessati, anche attraverso appropriati strumenti di governance attuabili alla scala di bacino o sottobacino, ad esempio i contratti di fiume. In tal senso risulta fondamentale riconoscere che solo la partecipazione reale delle parti interessate, basata sulla condivisione della conoscenza, sulla trasparenza delle decisioni e sulla valutazione esplicita delle alternative, può innescare quel cambiamento capillare sul quale si incardina una strategia di bacino idrografico o di area vasta.

A nostro avviso la RF dispone già di strumenti adeguati per rispondere alle sfide poste dalla gestione integrata dei corsi d’acqua. Sarebbe un grave danno non utilizzarli, continuando con politiche settoriali e concettualmente superate. La politica italiana si trova di fronte alla sfida di migliorare l’assetto normativo ed istituzionale al fine di usufruire dei benefici della RF come sta avvenendo in altri paesi Europei. Ma questo richiede anche un cambio culturale da parte di tecnici, amministratori, professionisti, fino ai singoli cittadini. Riteniamo che i tempi siano maturi perché ciò possa avvenire e confidiamo che le istituzioni rispondano positivamente ed energicamente a questo appello e che la comunità vigili e supporti tali processi di cambiamento.

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