Lug 31, 2016 | Riqualificazione Fluviale

Come stanno i nostri fiumi

A prescindere da quali indicatori e da quale schema di valutazione verranno adottati all’interno dei protocolli nazionali per la valutazione dello stato ecologico dei corsi d’acqua secondo la Direttiva Acque 2000/60 e secondo D.Lgs 152/06, è possibile dire come stanno oggi i nostri fiumi in termini di qualità chimico-fisica, biologica e idromorfologica?

Se pure con diversi margini di incertezza, per ciascuna di queste componenti alcune tendenze generali sono note:

Qualità chimico – fisica

Riguardo al passato, anche se non esistono dati certi, è opinione diffusa che la qualità delle acque nei fiumi italiani sia generalmente migliorata tra la fine degli anni ’70 (in cui i fiumi versavano in condizioni drammatiche) e i primi anni ’90, per effetto sia della dismissione dell’industria pesante (chimica, siderurgia), sia per l’entrata in funzione dei sistemi di depurazione (da allora sono stati realizzati 7.000 depuratori civili ed un numero molto elevato di depuratori industriali).

A partire dagli anni ’90 sono disponibili dati di monitoraggio raccolti in modo sempre più esteso e sistematizzato e relativi alla qualità chimico fisica dell’acqua in termini generali (indice LIM – Livello di inquinamento chimico fisico valutato attraverso la misura delle concentrazioni di alcune sostanze e parametri indicativi), alla presenza di inquinanti specifici in concentrazioni pericolose e  allo stato della comunità dei macroinvertebrati (indice IBE, incentrato sull’analisi di una componente biologica, la comunità di macroinvertebrati, ma sensibile, in particolar modo, alle alterazioni della qualità chimico fisica e per questo discusso in questo paragrafo). Tali informazioni vengono generalmente integrate in due indici sintetici, il SECA (Stato Ecologico, che rispecchia di fatto il peggiore dei valori fra LIM e IBE e che nonostante il nome rimane un indice molto ancorato alla misura della qualità chimico-fisica) ed il SACA (Stato Ambientale, che conferma o riduce alle classi scadente e pessimo il valore del SECA se in presenza di superamento dei limiti di concentrazione di determinati inquinanti specifici pericolosi).

Osservando i dati di LIM, SECA e IBE disaggregati per distretto idrografico e raccolti nel “Directive 2000/60/EC Article 5 Report” (si veda il seguente esempio relativo al bacino del Po), si nota una situazione qualitativa piuttosto preoccupante: solo alcune stazioni montane in qualità elevata (in azzurro), alcune tratti in qualità buona (in verde); poi, una volta raggiunta la pianura, solo stazioni in stato sufficiente (in giallo) e scadente (in arancione) e alcuni tratti in qualità addirittura pessima (in rosso).

lim_po_piccolo

L’esempio ben rispecchia la situazione generale dei fiumi Italiani  come confermato da alcune recenti statistiche a scala nazionale. Una conferma si può trarre osservando il grafico tratto nel recente “Estratto Annuario dei dati ambientali APAT 2005-2006” da dove emerge che oggi solo nel 39% delle stazioni di monitoraggio si raggiunge il livello buono o elevato dell’indice SECA.

seca_2004_torta

Nella stessa fonte è infine reperibile una dato di sintesi del trand nel periodo 2000 – 2004 che ben fotografa quanto già sopra evidenziato:

trand_seca

Per concludere possiamo dire che nonostante i grandi investimenti in sistemi fognari e depurativi realizzati negli ultimi decenni, che hanno portato al quasi raggiungimento degli obiettivi di conformità al trattamento dei reflui, i fiumi Italiani mostrano ancora – se si eccettuano alcuni casi gravissimi come il Lambro in Lombardia, il Sarno in Campania, il Canale Navile a Bologna e alcuni corsi d’acqua minori – una situazione non drammatica, ma certamente nemmeno buona.

Questa difformità del dato sulla copertura della depurazione e sugli effetti registrati nel corso d’acqua mette in discussione inevitabilmente la strategia finora adottata oltre a chiamare in causa altre significative concause.

Un discorso a parte merita l’inquinamento da “inquinanti specifici” che includono un’ampia gamma di sostanze pericolose (metalli pesanti, pesticidi, fitofarmaci…) di diversa natura e derivazione (Tabella 1/A dell’Allegato 1 alla parte III del DLgs. 152/2006). Da questo punto di vista il monitoraggio e la definizione stessa delle concentrazioni limite non sembrano ancora completamente a sistema e il quadro informativo a livello nazionale risulta ancora poco omogeneo; nonostante questo, dall’analisi dei Piani Tutela Acque Regionali si osserva la presenza di numerose situazioni di criticità.

Qualità biologica

Come premesso, indagini sistematiche ed omogenee sulle co mpon e nti biotiche sono oggi disponibili solo per i Macroinvertebrati (l’applicazione d ell’indice IBE era già prevista con il Dlgs. 152/99) mentre per la componente ittiofaunistica e per la flora a cquatica, così come previsto dalla Direttiva 2000/60 e dal Dlgs. 152/06, dovre bbero a breve venire definiti gli indicatori ed avviati i monitoraggi.
Nonostante questo, con dati provenienti da studi specifici è già oggi possibile definire un quadro preliminare della situazione attuale.

luccio

Fauna ittica

Se si considerano a i pesci, la grande maggioranza delle specie ritenute indigene è in declino, sia in termini numerici che di areale, diverse specie sono a rischio di estinzione o presentano comunque popolazioni in forte contrazione. Considerando ad esempio la “Lista rossa dei pesci d’acqua dolce autoctoni del bacino padano” secondo i criteri dell’IUCN:

  • solo 1 specie non è da considerare a rischio: il Cavedano
  • 2 specie sono già estinte: lo storione (Acipenser sturio) e lo Storione ladano
  • 3 sono gravemente minacciatre, 7 minacciate e ben 14 vulnerabili;
  • 13 infine le specie quasi a rischio;

In forte aumento invece le specie esotiche; un esempio su tutte il Siluro, ma anche a pesce gatto, Abramide, Misgurno di stagno, Rodeo amaro….

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pesci_impatti

Lista rossa dei pesci d’acqua dolce autoctoni del bacino padano (da Zerunian, 2007). Legenda: in neretto sono indicati gli endemici ed i subendemici. Le categorie IUCN si rifanno alla più recente terminologia adottata dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN, 2001), mentre per quanto riguarda i criteri riportati in tabella è stata considerata l’entità della diminuzione in percentuale e nel tempo della consistenza delle popolazioni (A) e poi l’estensione dell’areale e la sua frammentazione (B); per quanto riguarda la percentuale dell’areale italico rispetto all’areale totale, con A s’intende che la specie ha il 100% del suo areale in Italia, con B il 75-99%, con C il 50 – 70%, con D il 25 – 49%, con E il 5 – 24% e con F meno del 5%. Per quanto riguarda le minacce sono state considerate le alterazione degli habitat come evdidenziato nella seconda tabella.

Osservando in tabella il quadro delle “minaccie” intese come fattori causali sul declino di molte specie si osserva una forte e costante incidenza dell’inquinamento delle acque (e questo è coerente con il quadro tracciato sulla qualità chimico-fisica) e dell’ artificializzazione degli alvei fluviali e costruzione di sbarramenti fluviali lungo i corsi d’acqua. Questi fattori incidono più significativamente degli impatti legati alla pesca, all’inquinamento genetico e alla competizione con specie aliene.
Se questi dati verranno confermati appare evidente che l’unica strategia possibile per la salvaguardia del nostro patrimonio ittico passa attraverso la riqualificazione ed il miglioramento delle condizioni complessive dei corso d’acqua.
Il quadro critico e le problematiche evidenziate per il bacino padano, se pure con le dovute cautele, sono purtroppo rivenibili anche nei corsi d’acqua delle altre aree regioni italiane.

macroin

Macroinvertebrati
La misura dello stato della comunità di macroinvertebrati è da sempre legata al suo ruolo di “bioindicatore” con particolare (ma non solo) riferimento all’inquinamento chimico-fisico delle acque.
L’indice IBE, nei dati aggregati oggi disponibili, spesso non viene fornito in modo separato ma già aggregato al LIM per dare l’indice SECA; le considerazioni riportate nel paragrafo qualità chimico-fisica dell’acqua vanno quindi tenute in considerazione anche a commento di questa componente.
Flora acquatica
Tra gli elementi di valutazione della qualità biologica dei corsi d’acqua introdotti dalla Direttiva Acque vengono inserite anche le macrofite acquatiche e il fitobenthos.
Per macrofite acquatiche si intende un cospicuo gruppo di specie vegetali che hanno in comune le dimensioni macroscopiche e l’essere rinvenibili sia in prossimità sia all’interno di acque dolci superficiali; comprendono fanerogame erbacee, pteridofite, briofite, pochi licheni e alcune alghe formanti aggregati microscopicamente visibili. Possono anche venire distinte sulla base della loro localizzazione e modalità di ancoraggio in radicate emergenti, flottanti, radicate flottanti, radicate sommerse e anfifite. Sono molto sensibili ad alcuni tipi di inquinanti, come i biocidi, inquinamento organico e inquinamento da nutrienti (eutrofizzazione), e a impatti sull’assetto fisico dei corsi d’acqua che possono tradursi in variazioni del substrato, della profondità, della temperatura e dell’esposizione.
veg_acquaticaLe rappresentanti principali del fitobenthos (organismi vegetali microscopici fissati al fondo) dei corpi idrici superficiali sono le Diatomee, alghe brune, unicellulari, eucariotiche, generalmente delle dimensioni di pochi micrometri, che possono vivere isolate o formare colonie. Sono molto sensibili alle variazioni di alcuni parametri chimici e fisici delle acque (carico organico, nutrienti..), ma sono anche sensibili a modificazioni fisiche sull’assetto dei corpi idrici.
Nonostante la loro importanza, in Italia, a differenza che il altri paesi europei, lo studio di queste componenti, risulta relativamente recente. Non è pertanto disponibile al momento un quadro chiaro e omogeneo della situazione nei fiumi italiani né si è ancora giunti alla definizione finale e relativa applicazione di indici di valutazione sintetici.
Vegetazione riparia
La vegetazione riparia è a tutti gli effetti una componente essenziale dell’ecosistema fluviale; basti ricordarne l’elevata diversità in specie legata alla collocazione cotonale, l’intensa produttività, l’importanza strategica per la conservazione della natura e i ruoli di: serbatoio per la dispersione delle specie; fonte di detrito organico fine e di grossi detriti legnosi che diversificano gli habitat e forniscono rifugi per la fauna; controllo dell’inquinamento diffuso veicolato dal ruscellamento superficiale e sub-superficiale proveniente dal territorio circostante; regolazione della temperatura dell’acqua.
Nonostante questo è sempre stata poco considerata come elemento per la valutazione dello stato dei corsi d’acqua; la stessa WFD la “declassa” al ruolo di elemento idromorfologico “a sostegno” degli elementi biologici, mentre -in quanto componente vivente essenziale del sistema fluviale- meriterebbe il pieno riconoscimento di elemento di qualità biologica (al pari delle macrofite acquatiche e del fitobentos).
In Italia, a livello di indici sintetici specifici di valutazione sono presenti solo alcune proposte. Probabilmente il maggior numero di informazioni è raccolto nei molti tratti di corsi d’acqua su cui è stato applicato l’indice IFF (Indice di Funzionalità Fluviale) che contiene alcune domande specifiche su questa componente; un dato però esplicitato alla sola componente vegetazionale e messo a sistema su scala nazionale derivato dalle applicazioni di questo indice non risulta disponibile.
Un’esperienza significativa in termini di copertura spaziale su scala vasta, è quella contenuta nel Piano Tutela Acque della regione Lombardia che offre una rappresentazione di sintesi dello stato della vegetazione (basato principalmente su indici calcolati da foto aeree).
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Da quest’analisi emerge un quadro che tutto sommato risulta abbastanza vicino a quella che è la situazione di buona parte dei corsi d’acqua italiani, con una drastica riduzione delle fasce riparie (sostituite da colture agrarie – vedi foto sotto – e urbanizzazioni) e con un complessivo ed evidente degrado qualitativo legato anche allo sviluppo massiccio di specie invasive (Robinia pseudoacacia, Ailanthus altissima, Reynoutria japonica, Buddleja davidii, Solidago canadensis, Sycios angulatus, Artemisia verlotiorum, …).
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Altri gruppi faunistici legati ad habitat fluviali
Per integrare il quadro sulle varie componenti biotiche si riportano i seguenti dati contenuti nel documento di WWF e CIRF “LA RINASCITA DEL PO. Una proposta per il più grande fiume d’Italia”.
rospo
Dai dati raccolti nella riserva naturale di Le Bine, sul fiume Oglio, seguita dal 1972 dal WWF, e ritenuti rappresentativi dell’ambiente padano è stato registrato, negli ultimi trent’anni, un significativo cambiamento della condizione di alcune specie di interesse ambientale:
– è il caso, ad esempio, di alcune specie di molluschi come il raro Physidae Aplexa hypnorum, recentemente scomparso dagli stagni della riserva o la rarefazione di specie rare per l’IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) come Segmentina nitida e Unio mancus;
– un altro gruppo di invertebrati acquatici, particolarmente vulnerabili, sono i Coleotteri idroadefagi: delle 43 specie presenti a Le Bine nella metà degli anni ’80 (Mazoldi, 1987; Toledo, 1988) si è giunti alle 24 del 2000 (ma lo stesso, ad esempio, è avvenuto per la riserva di Marcaria ed altre zone limitrofe);
– anche anfibi endemici della pianura padana, come la rana di Lataste (Rana latastei) hanno subito e stanno subendo le conseguenze di una gestione delle acque che non tiene conto delle caratteristiche eco idrogeologiche e dei cicli biologici delle specie;
– contemporaneamente vi è stato un ingresso continuo di “nuove” specie, alloctone, che si stanno diffondendo rapidamente e contribuiscono all’impoverimento della biodiversità originale. Si va dai gamberi americani (Orconectes limosus, Procambarus clarkii), ai molluschi bivalvi asiatici o centro est europei (Anodonta woodiana, Corbicula fluminea, Dreissena polimorpha), alla nutria o castorino, originaria del sud America, che ha un notevole impatto strutturale sull’intero habitat palustre. Da questo punto di vista la dell’Oglio è emblematica dell’intero bacino padano: delle 64 specie aliene censite nelle acque dolci italiane (Gherardi et al, 2007) almeno 54, cioè oltre l’84%, sono presenti nei corpi idrici del bacino del Po, alcune di queste mostrano comportamento invasivo, riescono cioè velocemente a diffondersi da un punto d’immissione divenendo ben presto abbondanti e preminenti sulle specie o biocenosi autoctone.

Qualità idromorfologica

La classificazione degli elementi idromorfologici per la valutazione dello stato ecologico dei corsi d’acqua è tra gli elementi più innovativi ed interessanti introdotti dalla Direttiva 2000/60 (allegato V). Se pure in modo graduale (la valutazione di tali elementi viene dichiaratamente considerata come funzionale al sostegno di quelli biologici) per la prima volta si supera l’approccio dell’utilizzo di soli indicatori chimico fisici e biologici e si propone di “misurare” direttamente anche le condizioni dei corso d’acqua in termini di:

  • regime idrologico: quanto si discosta il regime di un corso d’acqua rispetto a quello delle condizioni di riferimento?
  • continuità fluviale: esistono barriere (argini, briglie, dighe, difese spondali..) che hanno interrotto la continuità longitudinale, verticale, laterale del corso d’acqua?
  • condizioni morfologiche: rispetto alle condizioni di riferimento, il corso d’acqua ha variato la sua morfologia a seguito di processi di incisione, restringimento, allargamento, sedimentazione e conseguentemente sono variate le forme presenti in alveo e nella zona ripariale?
 Al momento non è disponibile in Italia un metodo di classificazione ufficiale che restituisca una fotografia della qualità idromorfologica dei fiumi italiani; nonostante questo, dai risultati di alcuni studi di dettaglio, è possibile trarre alcune considerazioni di massima.
Regime idrologico
Come è abbastanza intuitivo supporre, una delle caratteristiche peculiari di un dato corso d’acqua è il suo regime di portate in alveo. Regime che non si limita agli aspetti più evidenti (e spesso agli onori della cronaca, vedi DMV) quali la portata minima o di piena, ma comprende anche molte altre caratteristiche, quali la variabilità della portata nel tempo, il numero di periodi di piena e di magra, la loro localizzazione nell’anno, ecc., che tutte insieme rappresentano l’andamento tipico delle portate per quel fiume.
Alla luce di questa definizione, la quasi totalità dei corsi d’acqua italiani presenta un regime idrologico pesantemente alterato (portate ridotte, andamento del regime modificato..) a seguito di derivazioni per uso umano e realizzate principalmente a fini di: produzione idroelettrica, irrigazione, utilizzo industriale, uso idropotabile e civile secondo la ripartizione sotto riportata:
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Se guardiamo al solo uso idroelettrico, si osservi che nelle Alpi solamente il 9,6% del reticolo idrografico può essere classificato come “prossimo allo stato naturale” e appena 5 torrenti hanno almeno 20 km di percorso non perturbato (Martinet e Dubost, 1992).
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A livello generale, secondo l’IRSA, grazie alla capacità di regolazione degli invasi realizzati o in costruzione in Italia, all’inizio del 2000 le risorse disponibili da deflussi superficiali ammontano a circa 40 miliardi di metri cubi, cui si aggiungono 12 miliardi di metri cubi di acque sotterranee: di questi circa 40 miliardi di metri cubi (pari all’80% delle risorse disponibili), viene effettivamente prelevata per i diversi usi.
coviriVa però considerato che il calcolo della disponibilità è stato realizzato solo pensando agli usi umani e senza considerare le richieste ambientali, già sancite, tra l’altro, a livello legislativo nei Piani Tutela Acque con le imposizioni del Deflusso minimo vitale; anche se la domanda non aumentasse ulteriormente è evidente che la quota “non sfruttata” è già oggi troppo poca per garantire un regime idrologico accettabile per i nostri fiumi. L’unica soluzione per invertire questo andamento potrebbe essere collegata ad una incisiva politica di risparmio idrico. In realtà le previsioni disponibili oscillano fra uno scenario minimo di “non aumento dei consumi” ad uno più pessimistico (fonte CoViRi 2005) che prevede un aumento della domanda oltre i 50 miliardi di m3; insomma, i dati e gli enormi conflitti generati dalla richiesta di maggiori rilasci per i fini ambientali parlano chiaro: invertire la tendenza sarà una partita estremamente complessa.
Continuità fluviale
In un corso d’acqua integro (se si eccettua la presenza di elementi naturali di discontinuità) non vengono frapposti ostacoli allo svolgimento dei processi biologici, morfologici, chimici e funzionali che si svolgono in direzione longitudinale (tra monte e valle), laterale (dall’alveo verso la piana inondabile e le aree golenali) e verticale (dalla zona a deflusso superficiale verso la zona iporreica); tali processi, tra l’altro, non sono ostacolati nemmeno lungo una quarta dimensione, quella temporale, consentendo a breve e lungo termine la libera evoluzione dell’alveo.
Già nelle parti montane dei bacini, e poi con sempre maggiore evidenza avvicinandosi alle zone antropizzate, la continuità dei nostri corsi d’acqua è stata nel tempo drasticamente ridotta. Il motivo principale è chiaramente collegato alla realizzazione di estesi e capillari interventi di sistemazione idraulica.
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Si consideri, pensando alla sola continuità longitudinale, che da dati non recentissimi (ma la situazione può solo essere peggiorata) che in Italia esistono circa 729 dighe cosiddette “grandi” (più alte di 10m o con una capacità di invaso maggiore di 105 m3) e tra 8.000-9.000 piccoli sbarramenti (Rusconi, 1994).
Non sono invece rinvenibili dati precisi sulla lunghezza complessiva dei tratti difesi o arginati ma la percentuale risulta sicuramente elevatissima e la continuità laterale risulta gravemente compromessa.
Per quanto concerne la continuità verticale, il problema non risulta tanto legato all’interruzione diretta per la realizzazione di opere di plateazione, quanto alla diffusa tendenza all’incisione dei nostri fiumi a cui consegue la perdita del rapporto con la falda.

Si consideri infine, che a fronte degli enormi investimenti e dell’enorme “prezzo ambientale” pagato per la realizzazione di queste opere, l’obiettivo che dovrebbe giustificarne la realizzazione e cioè la riduzione del rischio idraulico e idrogeologico non è stato conseguito, anzi il rischio è aumentato e lo stesso i danni.

Condizioni morfologiche

Un’interessante studio complessivo sulle tendenze evolutive di molti fiumi italiani è rinvenibile in Surian e Rinaldi, 2003. Nel lavoro è stata effettuata un’approfondita ricerca bibliografica sulle variazioni di morfologia rilevate su molti dei principali fiumi italiani; ne è scaturito un modello evolutivo così sintetizzabile: i processi geomorfologici prevalenti su buona parte dei nostri fiumi sono l’incisione ed il restringimento; conseguentemente si osserva una tendenza complessiva all’assunzione di morfologia a canale singolo o transizionale inciso, con la perdita di tipologie a canali intrecciati (braided).
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A supporto di queste considerazioni, ecco alcuni numeri:
Abbassamenti del fondo

  • Fiume Po: l’alveo del Po, come quello di molti suoi affluenti, si è abbassato notevolmente in questi ultimi 30 anni. Vi sono previsioni (Lamberti A., Schippa L., 1994) di ulteriore abbassamento che, se calcolate nel trentennio 1993-2023, risultano comprese tra i 2.4 e i 4.3 m al porto di Cremona (prudenziale 3.5 m) giudicato verosimile purché vengano contenute, seppure gradualmente, le escavazioni dall’alveo. Si tenga presente che da dati su alcune sezioni di riferimento, rese note dall’Autorità di bacino del Po, sono stati registrati nel periodo 1951 – 1999 approfondimenti fino a oltre 5 metri (rif. Sezioni: “Cremona” e “Boretto valle”) con punte frequenti intorno ai 3 – 4 metri (rif sezioni “Boretto monte” e “Pontelagoscuro”);
  • il Brenta si e’ abbassato di 4 -8 m;
  • vari affluenti appenninici del Po (Secchia, Taro) e vari fiumi delle Marche si sono abbassati di 2-5 m, ma localmente anche fino a 12-13 m.

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Restringimenti

Altrettanto importante è stato per alcuni fiumi il restringimento dell’alveo di piena. Gli esempi meglio documentati sono relativi a numerosi fiumi del Piemonte, al Piave e a vari fiumi della Toscana, con restringimenti in vari casi maggiori del 50%, fino anche al 70-90%.
L’analisi di queste tendenze evolutive, abbinata a quella degli interventi antropici effettuati (sistemazioni idrauliche, escavazioni, uso del suolo nel bacino) ha evidenziato una relazione causale molto stretta; si è osservato inoltre che gli aggiustamenti morfologici conseguenti agli impatti indotti si manifestano con tempi di reazione estremamente contenuti. 

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